sabato 20 aprile 2013

C'è posta per te - Recensione


Anche se all'apparenza può sembrare strano, il programma “C'è posta per te” rappresenta appieno un buon esempio di tv del dolore e per comprendere questa sua collocazione nel genere televisivo di riferimento è opportuno evidenziarne la struttura principale.
“C'è posta per te” è basato sulle diverse e svariate necessità di cittadini comuni di volersi riunire con persone a loro care con le quali non hanno più alcun tipo di rapporto da molti anni. Per riuscire in questo intento, il meccanismo del programma organizza la spedizione di una lettera al destinatario dell'incontro, il quale dovrà decidere in seguito se accettare l'invito, e quindi presentarsi in studio, oppure rifiutarlo. La particolarità di questo meccanismo è che il destinatario non è a conoscenza del mittente e di conseguenza la sua decisione di partecipare o meno alla trasmissione è fortemente legata e condizionata a questo fattore di enigmaticità dell'invito. Qualora il destinatario decidesse di presentarsi in studio, la conduttrice (Maria De Filippi) svolgerebbe il ruolo di mediatrice fra chi esige l'incontro e chi ha deciso di accettare l'invito, cercando di far volgere la questione positivamente con conseguente lieto fine.

Già da questa panoramica generale sulla strutturazione dello show è possibile individuare le insidiosità che si annidano dietro a queste semplici richieste di riappacificazione fra persone.
Innanzitutto, coloro che avanzano queste richieste sono cittadini comuni, quindi degli emeriti sconosciuti per tutti i telespettatori, fatta eccezioni che per i parenti stessi degli interessati che sono chiaramente i primi a prendersi a carico la questione così come, parimenti, sono dei benemeriti sconosciuti anche i destinatari degli inviti. In questo modo l'attenzione del programma si focalizza sull'anomia identitaria dei cittadini, sottolineando proprio il carattere ordinario e popolare di questi ultimi così come la dovuta ed ineccepibile vicinanza dello show alle tematiche ed alle problematiche della gente comune. Questo aspetto è fondamentale poiché incarna l'elemento chiave del programma, ovvero il suo profilo sensazionalistico inerente le vicissitudini del tutto ordinarie delle persone comuni che di fatto di sensazionale non hanno proprio nulla; ci ritroviamo così difronte ad un'oggettiva incongruenza d'intenti: da un lato porre l'attenzione sui fatti umili delle persone normali e dall'altro prodigarsi nell'esaltazione di questi ultimi, facendoli passare come eventi unici ed estremamente interessanti per la collettività.

Secondariamente, possiamo scorgere in questa visione la volontà malcelata di decantare e incentivare l'empatia che si verrebbe a creare fra gli ospiti dello show e gli spettatori, cioè i veri destinatari del programma: mettendo in risalto i fatti della gente comune, ed in particolare le loro problematiche famigliari, il pubblico ritrova in questo un'assimilazione ed una similitudine con i propri problemi che li possono coinvolgere sul piano parentale, amicale o lavorativo. In altre parole, la volontà di raccontare storie di gente comune in tv si lega con l'analoga volontà di incoraggiare un'identificazione nello spettatore con le medesime storie, il quale si ritroverà così a scavare nella sua memoria per andare alla ricerca di situazioni similari vissute in precedenza e scatenando il conseguente riaffiorare dei sentimenti e delle emozioni provate in quelle circostanze. Grazie a questo sistema empatico, se l'ospite in studio piange o comunque comunica sentimenti negativi, anche nello spettatore si scatenerà la medesima reazione emotiva, proprio in virtù di quell'associazione fra circostanze similari appena descritte. Ecco allora che ci ritroviamo davanti ad un lapalissiano caso di sensazionalismo televisivo dove si dà risalto ad aspetti che non ne meriterebbero affatto col solo scopo di alzare gli ascolti del programma.

In terzo luogo, si rende necessaria l'individuazione del modo in cui questi rapporti empatici vengono stipulati e possiamo a tal proposito individuare alcune ed efficaci pratiche, prima fra tutte quella del pianto in diretta. Avendo il ruolo di mediatrice menzionato più sopra, la De Filippi è tenuta a raccontare tutte le dinamiche delle storie nei minimi dettagli, senza tralasciare nulla, sottolineando talvolta gli aspetti dolorosi e le sofferenze fisiche ed emotive che i protagonisti hanno dovuto passare nella loro vita. In tal modo, l'ospite in studio nel riascoltare questi momenti di vita vissuta si ritroverà a riviverli con i ricordi, provocando così il riemergere delle medesime emozioni provate in precedenza, prima fra tutte appunto il pianto, il quale rappresenta uno degli atteggiamenti e dei comportamenti forse più intimi e personali di ogni individuo giacché esso mette a nudo le nostre debolezze sentimentali e ci tocca nel profondo dei nostri ricordi e della nostra intimità, permettendo allo stesso tempo che lo spettatore ci osservi durante il nostro dolore senza che vi sia la possibilità d'intervenire per alleviarlo.
È in questo modo che il pianto in diretta rappresenta un caso di tv del dolore, perché mette in risalto le debolezze e le fragilità delle persone che, al contrario, dovrebbero essere relegate ad un livello estremamente personale senza invece essere mostrare e provocate con naturalezza e normalità in un programma televisivo, incarnando così una pratica becera ed incivile d'intromissione nella vita privata di un individuo.

Un altro esempio di modo per scatenare l'empatia, e quindi il dolore con gli ospiti in studio, la si ritrova nella descrizione della storia da parte della De Filippi che, come ho detto, non perde tempo a raccontare dettagliatamente e pedissequamente ogni minimo risvolto e particolare della storia, svelando così al pubblico sviluppi e tratti intimamente personali dei singoli interessati con la presunta pretesa di rendere la storia più comprensibile possibile al pubblico. Ma, a pensarci bene, non si rinviene alcuna reale necessità di fondo nello svelamento di questi aspetti così personali bensì, al contrario, si individua distintamente l'esigenza di rendere di pubblico dominio tutti quegli elementi privati che in verità non possiedono alcun reale valore informativo ma rivestono solamente un ruolo di contorno, di abbellimento del racconto. Un abbellimento in negativo, chiaramente, poiché a rimetterci è l'immagine pubblica del singolo ospite, anche se a guadagnarci sono i telespettatori che si trovano così legittimati alla partecipazione nella vita personale dei singoli individui, rinforzando così sempre di più quel carattere di empatia e di identificazione da parte dello spettatore. Ecco quindi che, seguendo questa impostazione, la De Filippi narra storie di amori infranti, di matrimoni distrutti, di allontanamenti volontari o involontari, di litigi famigliari, di vecchi amori ritrovati, di amicizie latenti, di parenti provenienti da paesi esteri e delle loro relative nuove famiglie e nuove vite eccetera eccetera. Ci ritroviamo così a metà strada fra una funzione sociale del programma, che si pone l'obiettivo di risolvere soluzioni famigliari di conflitto o che comunque sono state danneggiate da qualche causa negativa, ed una narrazione incentrata sul gossip, sull'intromissione di estranei (i telespettatori) nella vita privata di altri estranei (gli ospiti in studio) i quali, per il solo fatto di essere comparsi in televisione, cessano di rivestire un profilo privato per transitare ad un profilo pubblico. Ma, come appare ben evidente, della funzione sociale spesso non ve n'è traccia, oppure la si riscontra in una minima parte del tutto trascurabile.

Infine, un altro aspetto di questo programma risiede nello stimolo da parte del pubblico d'interessarsi allo svolgersi delle vicende, soprattutto in merito al finale della storia durante il quale si scoprirà se il destinatario dell'invito decida di incontrare il mittente per ristabilire i rapporti di un tempo oppure decida di respingere questa opportunità facendo nuovamente sprofondare il mittente in un nuovo stato di disperazione e malessere emotivo.
Il succinto racconto della storia da parte della conduttrice serve quindi anche a corroborare nello spettatore la curiosità legata all'evolversi dei fatti, lo invoglia a restare d'innanzi allo schermo instillando in lui l'interesse in merito ad un possibile lieto fine o ad una drammatica rinuncia.

In definitiva, “C'è posta per te” è un classico esempio di tv del dolore dove vengono divulgate storie di persone ordinarie senza alcuna rilevanza informativa allo scopo di ottemperare ad un fantomatico principio sociale di cui il programma sarebbe investito ed il cui obiettivo ultimo risiederebbe nella positiva risoluzione di conflitti personali. Ciò che non si dice è invece che è proprio tramite le storie drammatiche dei partecipanti che lo show cerca di ottenere ascolti, anche in virtù di quel coinvolgimento emotivo più volte citato, realizzando così una vera e propria speculazione sui sentimenti delle persone, quest'ultima incentivata anche dagli ottimi dati di ascolto che si attestano sempre oltre il 20% di share.