Anche se all'apparenza può sembrare strano, il programma “C'è
posta per te” rappresenta appieno un buon esempio di tv del
dolore e per comprendere questa sua collocazione nel genere
televisivo di riferimento è opportuno evidenziarne la struttura
principale.
“C'è posta per te” è basato sulle diverse e svariate necessità
di cittadini comuni di volersi riunire con persone a loro care con le
quali non hanno più alcun tipo di rapporto da molti anni. Per
riuscire in questo intento, il meccanismo del programma organizza la
spedizione di una lettera al destinatario dell'incontro, il quale
dovrà decidere in seguito se accettare l'invito, e quindi
presentarsi in studio, oppure rifiutarlo. La particolarità di questo
meccanismo è che il destinatario non è a conoscenza del mittente e
di conseguenza la sua decisione di partecipare o meno alla
trasmissione è fortemente legata e condizionata a questo fattore di
enigmaticità dell'invito. Qualora il destinatario decidesse di
presentarsi in studio, la conduttrice (Maria De Filippi) svolgerebbe
il ruolo di mediatrice fra chi esige l'incontro e chi ha deciso di
accettare l'invito, cercando di far volgere la questione
positivamente con conseguente lieto fine.
Già da questa panoramica generale sulla strutturazione dello show è
possibile individuare le insidiosità che si annidano dietro a queste
semplici richieste di riappacificazione fra persone.
Innanzitutto, coloro che avanzano queste richieste sono cittadini
comuni, quindi degli emeriti sconosciuti per tutti i telespettatori,
fatta eccezioni che per i parenti stessi degli interessati che sono
chiaramente i primi a prendersi a carico la questione così come,
parimenti, sono dei benemeriti sconosciuti anche i destinatari degli
inviti. In questo modo l'attenzione del programma si focalizza
sull'anomia identitaria dei cittadini, sottolineando proprio il
carattere ordinario e popolare di questi ultimi così come la dovuta
ed ineccepibile vicinanza dello show alle tematiche ed alle
problematiche della gente comune. Questo aspetto è fondamentale
poiché incarna l'elemento chiave del programma, ovvero il suo
profilo sensazionalistico inerente le vicissitudini del tutto
ordinarie delle persone comuni che di fatto di sensazionale non hanno
proprio nulla; ci ritroviamo così difronte ad un'oggettiva
incongruenza d'intenti: da un lato porre l'attenzione sui fatti umili
delle persone normali e dall'altro prodigarsi nell'esaltazione di
questi ultimi, facendoli passare come eventi unici ed estremamente
interessanti per la collettività.
Secondariamente, possiamo scorgere in questa visione la volontà
malcelata di decantare e incentivare l'empatia che si verrebbe a
creare fra gli ospiti dello show e gli spettatori, cioè i veri
destinatari del programma: mettendo in risalto i fatti della gente
comune, ed in particolare le loro problematiche famigliari, il
pubblico ritrova in questo un'assimilazione ed una similitudine con i
propri problemi che li possono coinvolgere sul piano
parentale, amicale o lavorativo. In altre parole, la volontà di
raccontare storie di gente comune in tv si lega con l'analoga volontà
di incoraggiare un'identificazione nello spettatore con le medesime
storie, il quale si ritroverà così a scavare nella sua memoria per
andare alla ricerca di situazioni similari vissute in precedenza e
scatenando il conseguente riaffiorare dei sentimenti e delle emozioni
provate in quelle circostanze. Grazie a questo sistema empatico, se
l'ospite in studio piange o comunque comunica sentimenti negativi,
anche nello spettatore si scatenerà la medesima reazione emotiva,
proprio in virtù di quell'associazione fra circostanze similari
appena descritte. Ecco allora che ci ritroviamo davanti ad un
lapalissiano caso di sensazionalismo televisivo dove si dà risalto
ad aspetti che non ne meriterebbero affatto col solo scopo di alzare
gli ascolti del programma.
In terzo luogo, si rende necessaria l'individuazione del modo in
cui questi rapporti empatici vengono stipulati e possiamo a tal
proposito individuare alcune ed efficaci pratiche, prima fra tutte
quella del pianto in diretta. Avendo il ruolo di mediatrice
menzionato più sopra, la De Filippi è tenuta a raccontare tutte le
dinamiche delle storie nei minimi dettagli, senza tralasciare nulla,
sottolineando talvolta gli aspetti dolorosi e le sofferenze fisiche
ed emotive che i protagonisti hanno dovuto passare nella loro vita.
In tal modo, l'ospite in studio nel riascoltare questi momenti di
vita vissuta si ritroverà a riviverli con i ricordi, provocando così
il riemergere delle medesime emozioni provate in precedenza, prima
fra tutte appunto il pianto, il quale rappresenta uno degli
atteggiamenti e dei comportamenti forse più intimi e personali di
ogni individuo giacché esso mette a nudo le nostre debolezze
sentimentali e ci tocca nel profondo dei nostri ricordi e della
nostra intimità, permettendo allo stesso tempo che lo spettatore ci
osservi durante il nostro dolore senza che vi sia la possibilità
d'intervenire per alleviarlo.
È in questo modo che il pianto in diretta rappresenta un caso di tv
del dolore, perché mette in risalto le debolezze e le fragilità
delle persone che, al contrario, dovrebbero essere relegate ad un
livello estremamente personale senza invece essere mostrare e
provocate con naturalezza e normalità in un programma televisivo,
incarnando così una pratica becera ed incivile d'intromissione nella
vita privata di un individuo.
Un altro esempio di modo per scatenare l'empatia, e quindi il dolore
con gli ospiti in studio, la si ritrova nella descrizione della
storia da parte della De Filippi che, come ho detto, non perde tempo
a raccontare dettagliatamente e pedissequamente ogni minimo risvolto
e particolare della storia, svelando così al pubblico sviluppi e
tratti intimamente personali dei singoli interessati con la presunta
pretesa di rendere la storia più comprensibile possibile al
pubblico. Ma, a pensarci bene, non si rinviene alcuna reale necessità
di fondo nello svelamento di questi aspetti così personali bensì,
al contrario, si individua distintamente l'esigenza di rendere di
pubblico dominio tutti quegli elementi privati che in verità non
possiedono alcun reale valore informativo ma rivestono solamente un
ruolo di contorno, di abbellimento del racconto. Un abbellimento in
negativo, chiaramente, poiché a rimetterci è l'immagine pubblica
del singolo ospite, anche se a guadagnarci sono i telespettatori che
si trovano così legittimati alla partecipazione nella vita personale
dei singoli individui, rinforzando così sempre di più quel
carattere di empatia e di identificazione da parte dello spettatore.
Ecco quindi che, seguendo questa impostazione, la De Filippi narra
storie di amori infranti, di matrimoni distrutti, di allontanamenti
volontari o involontari, di litigi famigliari, di vecchi amori
ritrovati, di amicizie latenti, di parenti provenienti da paesi
esteri e delle loro relative nuove famiglie e nuove vite eccetera
eccetera. Ci ritroviamo così a metà strada fra una funzione sociale
del programma, che si pone l'obiettivo di risolvere soluzioni
famigliari di conflitto o che comunque sono state danneggiate da
qualche causa negativa, ed una narrazione incentrata sul gossip,
sull'intromissione di estranei (i telespettatori) nella vita privata
di altri estranei (gli ospiti in studio) i quali, per il solo fatto
di essere comparsi in televisione, cessano di rivestire un profilo
privato per transitare ad un profilo pubblico. Ma, come appare ben
evidente, della funzione sociale spesso non ve n'è traccia, oppure
la si riscontra in una minima parte del tutto trascurabile.
Infine, un altro aspetto di questo programma risiede nello stimolo da
parte del pubblico d'interessarsi allo svolgersi delle vicende,
soprattutto in merito al finale della storia durante il quale si
scoprirà se il destinatario dell'invito decida di incontrare il
mittente per ristabilire i rapporti di un tempo oppure decida di
respingere questa opportunità facendo nuovamente sprofondare il
mittente in un nuovo stato di disperazione e malessere emotivo.
Il succinto racconto della storia da parte della conduttrice serve
quindi anche a corroborare nello spettatore la curiosità legata
all'evolversi dei fatti, lo invoglia a restare d'innanzi allo schermo
instillando in lui l'interesse in merito ad un possibile lieto fine o
ad una drammatica rinuncia.
In definitiva, “C'è posta per te” è un classico esempio di tv
del dolore dove vengono divulgate storie di persone ordinarie senza
alcuna rilevanza informativa allo scopo di ottemperare ad un
fantomatico principio sociale di cui il programma sarebbe investito
ed il cui obiettivo ultimo risiederebbe nella positiva risoluzione di
conflitti personali. Ciò che non si dice è invece che è proprio
tramite le storie drammatiche dei partecipanti che lo show cerca di
ottenere ascolti, anche in virtù di quel coinvolgimento emotivo più
volte citato, realizzando così una vera e propria speculazione sui
sentimenti delle persone, quest'ultima incentivata anche dagli ottimi
dati di ascolto che si attestano sempre oltre il 20% di share.
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