lunedì 21 febbraio 2011

Tempo d'America


La concezione dello spazio è anche strettamente legata al tempo anche se, ovviamente, non è sempre stato così. Infatti, ogni qualvolta dobbiamo compiere uno spostamento tendiamo istintivamente, insieme allo spazio, a calcolarne la distanza e quanto tempo ci impieghiamo a compierla. Nell'antichità il concetto di tempo non esisteva, l'umanità intera ne ha sempre fatto a meno. Basti pensare che Marco Polo per compiere il suo viaggio da Venezia alla Cina ci impiegò 17 anni, non perché viaggiò senza mappe o perché perdeva l'orientamento, ma semplicemente perché non aveva nessuna fretta. Esisteva certamente un sistema di misurazione temporale e si basava sulle giornate, o sui mesi: per esempio l'attraversata di una foresta poteva durare “sei giornate”. Ci fu però un personaggio che, in barba ad ogni sistema d'esplorazione sino ad allora utilizzato, decise di fare a modo proprio. Cristoforo Colombo fu il primo uomo a codificare gli spostamenti in base al fattore temporale, ovvero a quanto ci si impiega, come diremmo oggi, per andare da un posto all'altro.

Fino ad allora gli esploratori non viaggiavo con le mappe, o almeno non era uso frequente disporsi di una mappa per compiere un viaggio. Tutti sapevano che qualcosa doveva necessariamente esserci oltre il mare Oceano, come veniva identificato l'Oceano Atlantico, e la prassi per la sua traversata prevedeva uno schema, un'abitudine strettamente legata alla conoscenza delle mappe: si partiva ovviamente dalla Spagna, si oltrepassavano le Colonne d'Ercole, si costeggiavano le rive dell'Africa sino a dove era conosciuta e poi, munendosi di coraggio, si virava a sinistra, in balia del mare aperto e senza che nessuna mappa potesse aiutare nella navigazione. Colombo invece che cosa fa? Prima di tutto si munisce di una carta geografica, se la arrotola e se la mette in tasca, senza nemmeno guardarla. Dopodiché, oltrepassate le Colonne d'Ercole, procede diritto, e basta. Colombo non si adegua quindi alla mappa, cioè non considera la rappresentazione cartografica come l'unica verità sulla quale basarsi, ma, al contrario, trasforma la Terra, la natura, ad una grande tavola, ad una distesa. E all'interno di questa distesa piatta Colombo percorre il suo viaggio sino ad approdare, finalmente, sulle coste americane. In definitiva, Colombo voleva fare presto, a differenza di Marco Polo Colombo aveva molta fretta, tant'è che è stato il primo che, senza consultare una mappa, ha raggiunto l'America dopo innumerevoli tentativi compiuti invece dai suoi colleghi esploratori, condizionati dall'immensità dell'oceano che li circondava e che li costringeva a ritornare indietro rinunciando così all'esplorazione vera e propria. Colombo ha tradotto la distanza fra due punti, ovvero lo spazio, in tempo di percorrenza. Tanto vale sfatare il mito dell'uovo che Colombo avrebbe utilizzato per rappresentare la sfericità terrestre schiacciandolo alla base su di un tavolo: tutti sapevano che la Terra fosse rotonda da molto tempo e, anzi, Colombo non ha affatto pensato alla Terra come una sfera ma, al contrario, l'ha ridotta ad una tavola.

giovedì 17 febbraio 2011

Lo spazio di Ulisse


Ho pensato a lungo a come iniziare questo blog, a quale argomento scegliere per dare vita a questo spazio virtuale, visti i temi cui sono legato e vista la vastità di ragionamenti cui essi afferiscono e proprio la parola spazio mi ha dato l'ispirazione adatta per cominciare. Voglio quindi iniziare raccontandovi una storia che deriva da un'opera letteraria a noi tutti ben nota, ovvero l'Odissea, nella quale, ad insaputa del suo (ipotetico) autore Omero, vengono presentati per la prima volta alcuni temi e argomenti che oggi ci appaiono come ovvietà, consuetudini, ma che proprio nell'Odissea hanno trovato la luce.

Noi tutti quando ci spostiamo da un luogo ad un altro, anche solo per fare pochi passi, siamo istintivamente portati a compiere un apparente semplice ragionamento, comune a qualsiasi tipo di spostamento: lo spazio. Ma l'idea dello spazio, di cosa esso sia, non è sempre stato un concetto ricorrente, tant'è che si attribuisce la sua invenzione proprio ad Ulisse quando, dopo il celebre incontro con Polifemo, tenta di scappare dall'isola del gigante con i suoi compagni.

Tutti sappiamo come sono andate le cose fra Polifemo ed Ulisse, il primo rappresentante l'utilizzo della forza bruta per imporre il potere su quelli più deboli di lui e quindi inferiori, il secondo è l'eroe per eccellenza capace di scampare alle situazioni più critiche grazie all'uso dell'intelletto. E questo episodio è proprio basato su una serie di astuti stratagemmi e dimostra proprio sul finale della vicenda in che modo Ulisse inventa lo spazio. Per essere breve, dopo avere accecato Polifemo tramite un ramo di ulivo dalla punta incandescente ed avere raggiunto l'esterno della caverna del gigante, Ulisse e la sua ciurma si dirigono celermente verso riva dove avevano precedentemente lasciato la loro imbarcazione ed, altrettanto velocemente, iniziano a remare per lasciarsi alle spalle l'isola. Ma Polifemo, nonostante impossibilitato alla vista, è dotato dell'udito e quindi riesce perfettamente ad orientarsi dirigendosi proprio verso la nave che si sta allontanando. Debbo a questo punto fare una precisazione: la storia di Polifemo rappresenta l'unico esempio in tutta l'opera dell'Odissea dove Ulisse e i compagni finiscono nei guai proprio a causa dello stesso Ulisse che a sua volta dovrà salvare se stesso e i compagni dalle grinfie di Polifemo.

Il gigante Polifemo accecato da Ulisse
A questo punto, proprio mentre la nave si allontana, Ulisse sente la necessità di dover riaffermare la propria autorità sui compagni sicché proprio da lui è partita la volontà di visitare l'isola del gigante. Quindi Ulisse alzandosi in piedi si rivolge a Polifemo urlandogli la sua posizione, sprezzante del pericolo e dell'eventuale reazione del mostro. Ma in che modo Ulisse grida a Polifemo? Nel testo appare chiara la posizione dell'imbarcazione e di Ulisse il quale grida “quando tanto fummo lontani quanto si arriva col grido”. Ovvero Ulisse ha supposto, ha immaginato di trovarsi in una posizione adeguata dalla quale la sue voce, le sue parole potessero essere udite sino a riva, dov'era Polifemo il quale, udendo chiaramente le parole di scherno, scaglia un masso nella direzione della nave facendolo cadere proprio a prua e scatenando così un'onda talmente potente da far ritornare la nave al punto di partenza, all'inizio della storia. Ora è necessaria un'altra precisazione, più acuta e interessante della precedente: per quanto Ulisse potesse evidentemente essersi sbagliato nel definire la distanza giusta dalla quale gridare è più che ovvio, per non dire palese, il fatto che Polifemo per scagliare il masso e farlo precipitare proprio davanti alla nave doveva vederci molto più che bene, benissimo. Ciò significa che quello che ci hanno sempre insegnato in merito a Polifemo non è assolutamente vero riguardo il suo unico occhio sicché nel testo non viene mai sottolineata la particolarità oculare del ciclope, in pratica non viene mai detto che possiede un occhio solo. La parola ciclope significa “occhio circolare” e basta, senza farne un problema di quantità. Polifemo poteva benissimo avere due, tre, anche quattro occhi, non ha importanza. Il vero punto della questione è la circolarità dell'occhio.

Quindi Polifemo ci vedeva molto bene quando scaglia il masso in direzione della nave ma Ulisse e compagni, una volta raggiunta la riva, si danno decisamente da fare per ripartire e ritornare al largo, lontani dal gigante. A questo punto Ulisse, testardo, decide di riprovare l'impresa e questa volta compie un ragionamento molto interessante: siccome l'unico senso utile, la vista, l'occhio, rimane fondamentale, insieme alla mente, per capire in che posizione ci si trova, Ulisse grida a Polifemo “quando due volte di mare avevamo percorso”. Che significa questo ragionamento? Significa che Ulisse, attraverso un semplice processo mentale, non ha fatto altro che raddoppiare la distanza dal precedente punto dal quale aveva gridato. Infatti Polifemo, scagliando nuovamente un masso, lo fa cadere a poppa facendo procedere la nave sempre più lontano da lui. Lo spazio non è niente altro che il raddoppio della distanza da un ipotetico punto ad un altro mantenendo un intervallo fra un punto e l'altro sempre uguale, costante. Quando da piccoli alle elementari ci insegnavano a fare i conti sulla tavola pitagorica noi credevamo che si trattasse di aritmetica ma in realtà era lo spazio: dall'1 si passa al 2, poi al 3 e così via. L'intervallo, la distanza che intercorre dal punto 1 al punto 2 è la stessa, identica, proprio come quella che ha permesso ad Ulisse di raggiungere la libertà. Ed è lo stesso procedimento che ha portato i primi cartografi alla riduzione della Terra ad un insieme di punti e linee. Ma di questo avremo modo di parlare in un secondo momento.

mercoledì 16 febbraio 2011

Incipit

Come la postmodernità, il sottoscritto è un personaggio caduco, effimero, spesso viene colto da improvvisi attacchi maniacali nei riguardi di un determinato argomento che lo portano sino all'orlo dell'ossessione e l'istante dopo mette tutto da parte per rivolgere l'attenzione a tutt'altro contesto. Questo forse è il mio decimo blog nel giro di qualche anno, ma non voglio che anche questo faccia la fine di tutti quelli passati, ovvero inevitabilmente, indissolubilmente, categoricamente, irreversibilmente eliminati. Ho fondato questo blog con l'intenzione di farlo perdurare nel tempo, lo voglio allevare come se fosse un figlio, farlo crescere, maturare, arricchirlo, adornarlo come fosse un albero di Natale, voglio renderlo originale, unico, sfavillante, inusitato, ricco... Ma forse sto correndo troppo, meglio se mi impegno "soltanto" a rendere questo blog decente, almeno un po' interessante per i lettori. In definitiva voglio che questo blog sia il più possibile personale.

Fatta questa premessa, c'è da chiedersi di cosa mai parlerà questo blog, ideato e pensato con così tanti bei propositi. Posso dichiarare che non ci sarà un argomento di fondo che accomunerà tutti i post, la sola cosa comune sarà la totale schiettezza e non banalità di ciò che andrò scrivendo. Non pretendo nè di essere considerato un intellettuale e nè di essere preso troppo sul serio, quindi sarebbe il caso di prendere alcuni post con le pinze ed affrontarli con il beneficio del dubbio sicché si tratta di puri pensieri dell'autore. Se non gradite ciò che scrivo potete tranquillamente evitare di soffermarvi troppo su questo blog, se invece trovate interessanti i post potreste quasi imparare qualcosa di nuovo, chissà...

Gli argomenti che più aggradano l'autore sono relativi all'arte e alla comunicazione. Siccome questi due temi presi singolarmente afferiscono ad un'infinità di argomenti, trovo giusto e doveroso precisare che con arte mi riferisco principalmente al concetto stesso di artisticità, ovvero di ciò che può essere considerata arte. In particolare, trovo estremamente interessante il cinema come forma artistica ed avrò modo di affrontare numerosi temi al riguardo. Per quanto invece concerne la comunicazione, farò riferimento alla comunicazione umana e alla sua evoluzione, ovvero come essa si sia sviluppata nel corso della storia dell'uomo; farò inoltre riferimento alla televisione come importante mezzo di comunicazione, insieme a tanti altri temi ad essa correlati come la pubblicità, la tv spazzatura e gli onnipresenti reality show. Non mancheranno riflessioni su Internet, sulla moda e su tanti altri temi che eventualmente scaturiranno da tutti questi argomenti.

Questo sarà quindi l'andazzo generale di questo blog, la matrice di fondo che farà da traino sarà proprio la riflessività, la quale può dare adito a qualsivoglia ragionamento, sia esso fondato, quindi vero e verificabile, sia esso infondato, quindi solo una mera opinione, ma non per questo meno credibile di un fatto. Nella mia testa giassò cosa è vero e cosa non lo è (infatti l'autore sono io mica per niente...) e a decidere a cosa credere sarai tu lettore che, se sarai dotato di sufficienti neuroni funzionanti, sarai autonomamente capace di farti una tua idea personale di ciò che studi, di ciò che ascolti o, in questo caso, di ciò che leggi.