giovedì 17 febbraio 2011

Lo spazio di Ulisse


Ho pensato a lungo a come iniziare questo blog, a quale argomento scegliere per dare vita a questo spazio virtuale, visti i temi cui sono legato e vista la vastità di ragionamenti cui essi afferiscono e proprio la parola spazio mi ha dato l'ispirazione adatta per cominciare. Voglio quindi iniziare raccontandovi una storia che deriva da un'opera letteraria a noi tutti ben nota, ovvero l'Odissea, nella quale, ad insaputa del suo (ipotetico) autore Omero, vengono presentati per la prima volta alcuni temi e argomenti che oggi ci appaiono come ovvietà, consuetudini, ma che proprio nell'Odissea hanno trovato la luce.

Noi tutti quando ci spostiamo da un luogo ad un altro, anche solo per fare pochi passi, siamo istintivamente portati a compiere un apparente semplice ragionamento, comune a qualsiasi tipo di spostamento: lo spazio. Ma l'idea dello spazio, di cosa esso sia, non è sempre stato un concetto ricorrente, tant'è che si attribuisce la sua invenzione proprio ad Ulisse quando, dopo il celebre incontro con Polifemo, tenta di scappare dall'isola del gigante con i suoi compagni.

Tutti sappiamo come sono andate le cose fra Polifemo ed Ulisse, il primo rappresentante l'utilizzo della forza bruta per imporre il potere su quelli più deboli di lui e quindi inferiori, il secondo è l'eroe per eccellenza capace di scampare alle situazioni più critiche grazie all'uso dell'intelletto. E questo episodio è proprio basato su una serie di astuti stratagemmi e dimostra proprio sul finale della vicenda in che modo Ulisse inventa lo spazio. Per essere breve, dopo avere accecato Polifemo tramite un ramo di ulivo dalla punta incandescente ed avere raggiunto l'esterno della caverna del gigante, Ulisse e la sua ciurma si dirigono celermente verso riva dove avevano precedentemente lasciato la loro imbarcazione ed, altrettanto velocemente, iniziano a remare per lasciarsi alle spalle l'isola. Ma Polifemo, nonostante impossibilitato alla vista, è dotato dell'udito e quindi riesce perfettamente ad orientarsi dirigendosi proprio verso la nave che si sta allontanando. Debbo a questo punto fare una precisazione: la storia di Polifemo rappresenta l'unico esempio in tutta l'opera dell'Odissea dove Ulisse e i compagni finiscono nei guai proprio a causa dello stesso Ulisse che a sua volta dovrà salvare se stesso e i compagni dalle grinfie di Polifemo.

Il gigante Polifemo accecato da Ulisse
A questo punto, proprio mentre la nave si allontana, Ulisse sente la necessità di dover riaffermare la propria autorità sui compagni sicché proprio da lui è partita la volontà di visitare l'isola del gigante. Quindi Ulisse alzandosi in piedi si rivolge a Polifemo urlandogli la sua posizione, sprezzante del pericolo e dell'eventuale reazione del mostro. Ma in che modo Ulisse grida a Polifemo? Nel testo appare chiara la posizione dell'imbarcazione e di Ulisse il quale grida “quando tanto fummo lontani quanto si arriva col grido”. Ovvero Ulisse ha supposto, ha immaginato di trovarsi in una posizione adeguata dalla quale la sue voce, le sue parole potessero essere udite sino a riva, dov'era Polifemo il quale, udendo chiaramente le parole di scherno, scaglia un masso nella direzione della nave facendolo cadere proprio a prua e scatenando così un'onda talmente potente da far ritornare la nave al punto di partenza, all'inizio della storia. Ora è necessaria un'altra precisazione, più acuta e interessante della precedente: per quanto Ulisse potesse evidentemente essersi sbagliato nel definire la distanza giusta dalla quale gridare è più che ovvio, per non dire palese, il fatto che Polifemo per scagliare il masso e farlo precipitare proprio davanti alla nave doveva vederci molto più che bene, benissimo. Ciò significa che quello che ci hanno sempre insegnato in merito a Polifemo non è assolutamente vero riguardo il suo unico occhio sicché nel testo non viene mai sottolineata la particolarità oculare del ciclope, in pratica non viene mai detto che possiede un occhio solo. La parola ciclope significa “occhio circolare” e basta, senza farne un problema di quantità. Polifemo poteva benissimo avere due, tre, anche quattro occhi, non ha importanza. Il vero punto della questione è la circolarità dell'occhio.

Quindi Polifemo ci vedeva molto bene quando scaglia il masso in direzione della nave ma Ulisse e compagni, una volta raggiunta la riva, si danno decisamente da fare per ripartire e ritornare al largo, lontani dal gigante. A questo punto Ulisse, testardo, decide di riprovare l'impresa e questa volta compie un ragionamento molto interessante: siccome l'unico senso utile, la vista, l'occhio, rimane fondamentale, insieme alla mente, per capire in che posizione ci si trova, Ulisse grida a Polifemo “quando due volte di mare avevamo percorso”. Che significa questo ragionamento? Significa che Ulisse, attraverso un semplice processo mentale, non ha fatto altro che raddoppiare la distanza dal precedente punto dal quale aveva gridato. Infatti Polifemo, scagliando nuovamente un masso, lo fa cadere a poppa facendo procedere la nave sempre più lontano da lui. Lo spazio non è niente altro che il raddoppio della distanza da un ipotetico punto ad un altro mantenendo un intervallo fra un punto e l'altro sempre uguale, costante. Quando da piccoli alle elementari ci insegnavano a fare i conti sulla tavola pitagorica noi credevamo che si trattasse di aritmetica ma in realtà era lo spazio: dall'1 si passa al 2, poi al 3 e così via. L'intervallo, la distanza che intercorre dal punto 1 al punto 2 è la stessa, identica, proprio come quella che ha permesso ad Ulisse di raggiungere la libertà. Ed è lo stesso procedimento che ha portato i primi cartografi alla riduzione della Terra ad un insieme di punti e linee. Ma di questo avremo modo di parlare in un secondo momento.

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