Nel
precedente post ho accennato alla dicotomia chiave del nostro
discorso, ovvero quella fra linguaggi discorsivi strettamente legati
alla realtà fenomenologica e quelli invece ascrivibili a realtà
altre, fantastiche, meramente spettacolari. Se il film Ladri
di biciclette, in quanto
pellicola neorealista, è affine alla prima pratica discorsiva, il
film Ladri di saponette
di Maurizio Nichetti può a buon titolo inserirsi in una posizione
mediana, ovvero a metà strada fra un linguaggio pedissequamente
affine al reale (neorealista) ed un linguaggio artificioso,
spettacolare, in alcuni momenti persino autoreferenziale e
metacomunicativo. Possiamo perciò affermare che la pellicola di
Nichetti, lungi dall'essere paragonabile agli stilemi neorealisti, si
ritrova ad essere contagiata da elementi di questo movimento
cinematografico, essa è infarcita di rimandi, suggerimenti, indizi a
tal punto che possiamo a buon titolo parlare di contaminazione
neorealista.
Il discorso è assai complesso ma cercherò di semplificarlo e
sintetizzarlo il più possibile, cercando di non comprometterne la
comprensione.
Dobbiamo
primariamente partire da un presupposto puramente temporale: la
pellicola di Nichetti è datata 1989 mentre quella di De Sica risale
al 1948, perciò questa abissale differenza testimonia sin da subito
le naturali difformità stilistiche e contenutistiche che
contraddistinguono questi film. Non vi possono perciò essere
affinità di alcuna sorta fra di esse, proprio in virtù dell'abisso
temporale che non può non rendere i due film assai diversi fra loro;
possiamo invero riconoscere nel film di Nichetti, come poc'anzi
anticipato, una contaminazione neorealista, ovvero un'approssimazione
stilistica a questo movimento filmico: Ladri
di saponette ricalca,
solo in parte e solo nei primi istanti del film, la pellicola di De
Sica, sia nei nomi dei personaggi principali e sia nella narrazione
della storia. Nichetti epigono di De Sica? Imitatore senza fantasia?
Non esattamente, pur essendo questo pensiero più che legittimo. Il
discorso è in verità molto più complesso poiché l'intento di
Nichetti non è quello di rievocare il movimento neorealista con una
pellicola che ne ricalca i tratti distintivi, bensì la volontà di
ricorrere a questo filone discorsivo con lo scopo di costruirvi sopra
un secondo linguaggio, un discorso diverso, contemporaneo,
commerciale,
che va ad aggiungersi a quello neorealista. Ecco perciò che il
ricorso agli stilemi neorealisti è solo un pretesto per dare vita ad
una riflessione ben più ampia su altri tipi di linguaggi: quindi,
come più volte ho sottolineato, la pellicola in questione realizza
un metadiscorso, ovvero cerca di comunicare un'idea sul cinema
utilizzando un movimento cinematografico. Il film parla del suo
stesso mondo così come, allo stesso tempo, esso è pure
autoreferenziale, poiché pregno di autocitazioni ed autoriferimenti.
Abbiamo perciò un discorso sul discorso di un discorso. Questo
apparente virtuosismo pleonastico è invece il discorso o, meglio, il
meta-discorso, che Nichetti imbastisce nella realizzazione del suo
film e che possiamo sinteticamente così riassumere:
A. discorso afferente al filone neorealista, con il richiamo al film
di De Sica nelle prime sequenze del film;
B. discorso relativo alla critica, tramite l'aggancio neorealista, al
rapporto fra cinema, televisione commerciale e pubblicità;
C. discorso inerente all'autoreferenzialità da parte del regista che
si autocita nella pellicola e che rimanda a suoi precedenti discorsi
filmici.
Diviene ora opportuno
accennare brevemente alla trama del film di Nichetti: il regista
stesso, autore del film Ladri di saponette,
viene invitato in uno studio televisivo di un programma che parla di
cinema dove il critico Claudio G. Fava, che interpreta se stesso,
presenta al pubblico il film con tanto di commento personale. Senza
che il regista dica una parola, al termine della presentazione del
critico parte la messa in onda del film che però viene continuamente
interrotto dagli spazi pubblicitari che, secondo le proteste del
regista, impediscono al pubblico di capirne appieno la trama. Ad un
certo punto si verifica in studio un blackout, la corrente salta e
tutto si ferma; ma al ritorno dell'energia elettrica accade
l'impossibile: i personaggi delle pubblicità hanno invaso il film e,
allo stesso modo, i protagonisti del film hanno contaminato le
pubblicità, dando così vita ad una curiosa mescolanza di ruoli e di
stili narrativi assai differenti. In tal modo cinema, televisione e
pubblicità vengono fusi assieme e con loro i corrispettivi linguaggi
discorsivi, con l'infelice risultato che la trama del film si ritrova
inevitabilmente compromessa e le vicende non vanno come dovrebbero
andare. Tutto si mescola, nessun discorso funziona come dovrebbe
funzionare, i personaggi passano da un mondo all'altro, da una
sceneggiatura all'altra, sfilacciando così una pratica narrativa
inizialmente lineare e coesa. Ma, contemporaneamente, l'impostazione
narrativa di Nichetti si concentra anche su di un altro contesto,
quello di una famiglia intenta a guardare la televisione in salotto e
che vive ogni istante performante e deformante del film, dalla sua
messa in onda inizialmente lineare e coerente sino alla segmentazione
della trama. Anche in questo caso ritengo opportuno, per meglio
comprenderne l'impostazione, suddividere il film in tre sezioni
narrative, corrispondenti ad altrettanti tempi, luoghi e attanti così
definiti:
- sezione narrativa 1: è rappresentata da quello che possiamo definire il mondo reale, ovvero il tempo e il luogo iniziali del film dove si situano lo studio televisivo e i personaggi di Nichetti regista, del critico Claudio G. Fava e dei vari assistenti e tecnici di studio. Possiamo inserirvi inoltre anche il salotto della famiglia di telespettatori poiché, seppur ubicati in un ambiente differente, sono comunque calati nel mondo reale. Questa prima sezione narrativa combacia con l'inizio del film, perciò viene naturale supporre che sia questo il contesto principale della storia, poiché tutte le vicende successive hanno luogo da esso;
- sezione narrativa 2: è quella relativa alla messa in onda del film Ladri di saponette: trattandosi di un metadiscorso, dal contesto del mondo reale se ne dipana un altro, quello del film recensito dal critico Fava in studio. Perciò, durante la visione del film Ladri di saponette avviene una messa in onda (a partire dal medesimo contesto) di un altro film avente il medesimo titolo del precedente. In altre parole, il vero titolo della pellicola si riferisce al film messo in onda nella pellicola stessa: Ladri di saponette è sia il film che io spettatore mi sto guardando in questo momento ma è anche (e soprattutto) il film di cui si parla all'interno della pellicola;
- sezione narrativa 3: è quella inerente la pubblicità che, con insistenza, continua persistentemente ad interrompere la messa in onda del film (nel film) compromettendone la comprensione da parte del pubblico. Sospendendo momentaneamente ed improvvisamente il film, si passa con repentina celerità da un discorso narrativo all'altro, dal film alla pubblicità. Il distacco è particolarmente netto poiché se il discorso filmico abbisogna di tempi e tecniche opportuni per adempiere al suo linguaggio ed alla trama, il discorso pubblicitario ne risulta totalmente differente, presentandosi invece assai veloce, tempestivo, rapido, fulmineo. Il film ha bisogno di tempo per farsi capire e perciò necessità di un linguaggio ricercato; la pubblicità è invece di durata incredibilmente più breve e quindi più risulta di semplice approccio e più sarà incisiva per gli spettatori.
Questi
continui passaggi da un contesto ad un altro sono semioticamente
definiti operazioni
enunciazionali
e fanno prevalentemente riferimento all'aspetto temporale, già
ampiamente ricordato nel corso della nostra trattazione. Queste
difformità temporali ci inducono a suddividere il tempo del discorso
in due parti, una definita embrayage,
in riferimento all'io-qui-ora dell'istanza dell'enunciazione ed
individuabile nel nostro caso nello studio televisivo e nel salotto
della famiglia, ovvero quello che abbiamo definito “mondo reale”.
Da questa prima aspettualizzazione temporale se ne dipana una
seconda, definita débrayage,
ovvero la proiezione di tempi, spazi e attanti diversi dall'istanza
dell'enunciazione: nel nostro caso, il débrayage lo si rintraccia
sia nella messa in onda del film nel
film e sia negli stacchi pubblicitari, fulminei ed improvvisi.
L'aspetto curioso di questo film di Nichetti risiede nel fatto che al
débrayage relativo alla messa in onda del film non corrisponde
l'embrayage del mondo reale ma si passa direttamente ad un secondo
débrayage, quello pubblicitario: solo quando anche quest'ultima
digressione temporale è compiuta allora si ritorna all'istanza
dell'enunciazione. In definitiva, Nichetti allestisce una girandola
di embrayage e di débrayage, di continui via vai enunciazionali, di
perpetue uscite ed altrettanti rientri temporali in un gioco a dir
poco funambolico e confusionario dal punto di vista tecnico tale da
arrecare danno alla trama stessa del film, la quale si ritrova
contaminata di attanti afferenti a tutti e tre i contesti discorsivi.
Oltre
a presentare un costrutto discorsivo e narrativo peculiare, il film
di Nichetti risulta anche autoreferenziale, ovvero il regista si
autocita nella sua stessa opera: infatti, il protagonista del mondo
reale è Nichetti regista, così come il critico cinematografico
presente in studio, Claudio G. Fava, è effettivamente un vero
critico, impersonando quindi se stesso; possiamo inoltre rintracciare
in tutta la pellicola altri rimandi e riferimenti a precedenti opere
di Nichetti, come ad esempio la famiglia di telespettatori che è la
stessa vista nel film Ho
fatto splash del
1980 e, sempre dello stesso film, è anche il recupero di una
pubblicità fasulla di una bevanda, il cui motivetto viene
riutilizzato in Ladri
di saponette.
Questi perpetui rimandi, come abbiamo già avuto modo di
testimoniare, evidenziano il carattere autoreferenziale che il
regista ha deciso di donare alla pellicola, senza perciò
distanziarsi da quell'impostazione a metà strada fra un linguaggio
legato al reale ed un linguaggio da esso (quasi) slegato. Ma le
citazioni che Nichetti inserisce nel film non si limitano a se stesso
ed alle sue precedenti opere giacché si rivolgono anche alla
pellicola di De Sica dalla quale, come detto, riprende i nomi dei
protagonisti (Antonio, il padre, Maria, la madre, e Bruno, il
figlioletto) così come rievoca in maniera più o meno fedele alcune
scene di Ladri
di biciclette,
in particolare due: la sequenza iniziale è pressoché identica a quella del film di De Sica, ovvero quando un impiegato dell'ufficio di collocamento chiama ad alta voce i nomi dei “fortunati” ai quali è stato assegnato un lavoro; mentre la seconda sequenza richiamata da Nichetti si riferisce al dialogo avuto fra Antonio e un ufficiale di polizia al momento della denuncia. In entrambe le scene Nichetti riporta quasi fedelmente non solo i personaggi ma anche le battute. Vi è però una sostanziale differenza formale nell'opera di Nichetti: mentre De Sica consente al protagonista di godere, almeno inizialmente, di una certa dose di serenità grazie al lavoro appena trovato ed alla bicicletta acquistata con fatica, Nichetti dona alsuo
Antonio un senso di frustrazione derivante dall'impossibilità di
trovare lavoro, testimoniato dalle inquadrature che ci mostrano
Nichetti/Antonio vagabondare da un posto all'altro questuando un
lavoro ma ogni qualvolta esso viene respinto. Ad entrambi i
protagonisti viene tolto e concesso qualcosa, in modo quasi
speculare:
- Antonio di De Sica inizialmente non possiede una bicicletta e neppure un lavoro, mentre Antonio/Nichetti possiede già una bicicletta ma non un lavoro;
- successivamente, Antonio di De Sica si ritrova privo di bicicletta ma con ancora il lavoro mentre Antonio/Nichetti si ritrova senza lavoro ma con ancora la bici;
- infine, Antonio di De Sica non riesce nell'intento di ritrovare la sua bici, pur mantenendo il lavoro, mentre Antonio/Nichetti non solo non perde mai la bici ma ottiene addirittura dei beni di consumo e cibi vari non guadagnati grazie al lavoro ma ottenuti tramite la contaminazione “magica” del mondo pubblicitario nel film.
Queste continue relazioni di congiunzione e disgiunzione dagli
Oggetti di valore (Ov) ci consentono di individuare i Programmi
Narrativi (PN) dei personaggi i quali, come abbiamo appena visto,
cambiano di continuo:
- Antonio di De Sica sente la necessità di rendere la propria vita più dignitosa, per sé e per la propria famiglia (PN principale), ma per fare ciò deve ottenere un lavoro che gli consenta di raggiungere tale obiettivo (PN d'uso). La bicicletta gli torna utile, per non dire essenziale, al fine di garantirsi l'occupazione, perciò tale mezzo diviene l'Ov dell'attante;
- Antonio/Nichetti persegue il medesimo obiettivo di Antonio di De Sica, sia per quanto riguarda il PN principale e sia per quanto riguarda il PN d'uso. Il ruolo che precedentemente era svolto dalla bicicletta ora viene svolto dalla moglie Maria, la quale si ritroverà coinvolta nell'immaginario mondo a colori delle pubblicità ed indurrà Antonio/Nichetti a cercarla disperatamente. Perciò, Maria diviene l'Ov del film di Nichetti, essendo essa l'elemento di giunzione e di coesione della famiglia. Inoltre, nell'opera di Nichetti possiamo individuare un secondo Ov, rappresentato dal lampadario di vetro tanto desiderato dalla moglie Maria. Tale Ov assume un significato non tanto per Antonio/Nichetti, che vede in esso l'ennesimo PN d'uso utile alla serenità famigliare, quanto per Maria stessa, che investe questo oggetto di una valorizzazione puramente personale.
In
entrambi i film, inoltre, è presente un attante che svolge il ruolo
di aiutante,
impersonato dal figlioletto Bruno: tale personaggio è talmente
simile nelle due pellicole, tanto nella figura quanto nel nome, da
indurci a ritenerlo un attante
duale;
tuttavia, occorre sottolineare che tale attante duale si riferisce a
personaggi appartenenti ad opere diverse, perciò questa
valorizzazione si ascrive solamente al personaggio in quanto ruolo
narrativo
e non al personaggio in quanto attore. Invece, possiamo a buon titolo
parlare di attante duale in riferimento a Nichetti, il quale nel
medesimo percorso narrativo svolge sia il ruolo di regista del film e
sia il ruolo di Antonio.
Infine,
per concludere il discorso sugli attanti, in questa pellicola sembra
apparentemente omessa la figura dell'antagonista, ovvero di
quell'attante che persegue un PN contrario a quello del Soggetto.
Ebbene, pur non rintracciando nella pellicola di Nichetti un
personaggio investito di tale ruolo, possiamo desumere che
l'Antisoggetto sia impersonato proprio dagli stessi spot
pubblicitari: infatti, mentre Nichetti/regista persegue come PN
principale l'esigenza di vedere il suo film mandato in onda per
intero e senza distorsioni della trama, le interruzioni pubblicitarie
perseguono l'esatto contrario, ovvero non fanno altro che
interrompere la messa in onda del film sino a contaminarne la trama e
l'intreccio. La fine del film sembra però non lasciare spazio ai
dubbi: le pubblicità infatti sembrano avere irrimediabilmente
compromesso l'intera struttura narrativa del film nel
film poiché non ci viene concesso di sapere né se Nichetti/regista
riuscirà ad uscire dal suo film, né se i personaggi delle
pubblicità se ne ritorneranno nel loro mondo immaginifico, né se la
moglie Maria resterà ancora insieme al marito o se lo lascerà per
una carriera nel mondo dello spettacolo. In certo qual modo questo
finale richiama il senso di smarrimento ed angoscia che suggerisce il
film di De Sica, giacché Antonio e il figlio Bruno non riescono a
ritrovare la bicicletta rubata.
Ma
alla funzione narrativa Nichetti affianca anche un'aspra critica al
cinema ed alla televisione, in una duplice relazione di complice
colpevolezza: l'una è stata in grado di incidere sul discorso
filmico a tal punto da spezzettarne le trame con i continui spot
pubblicitari, pregiudicandone la comprensione e rischiando di
allontanare il pubblico dalla visione del film; l'altro non è stato
in grado di impedire questo prepotente controllo televisivo,
dimostrandosi incapace di escogitare delle adeguate difese per
preservare la propria dignità artistica. Ed ecco allora che la
succitata contaminazione neorealista si viene a spiegare non solo
come pretesto per la costruzione di un discorso sul discorso, ma
serve soprattutto da contrafforte alla pesante critica avanzata da
Nichetti che con l'emulazione dei nomi dei personaggi e delle prime
vicende della pellicola, del tutto simili a quelle di Ladri
di biciclette,
vuole sia richiamare alla memoria dello spettatore i bei tempi che
furono, i tempi gloriosi del cinema italiano, quando il neorealismo
faceva scuola a livello internazionale, e sia rammentare allo
spettatore come le condizioni odierne del cinema siano così
peggiorate, a tal punto da piegarsi alle volontà e necessità delle
logiche televisive. Se il cinema è un'arte, e se il film Ladri
di biciclette
viene unanimemente ritenuto un capolavoro (perciò un'opera d'arte)
del neorealismo, com'è allora possibile che tale opera possa essere
spezzettata, sezionata in porzioni dalla televisione al solo scopo di
mandare in onda fugaci spot pubblicitari? Come possono l'estetica
pubblicitaria, l'estetica del consumo, l'estetica dell'immagine
prevale sulle opere d'arte e sulla loro fruizione? È perciò questa
la direzione del cinema italiano? La segmentazione del prodotto
filmico per fasce di audience, esattamente come avviene per
qualsivoglia prodotto commerciale? Si è arrivati al punto in cui un
film deve piacere ancora prima di suscitare riflessioni sui suoi
contenuti?
Queste domande sono probabilmente destinate a restare senza risposta,
ma se anche vi fossero delle risposte sarebbe purtroppo tutte
affermative. Ammetto che questi interrogativi possono risultare
pressoché stucchevoli e a loro volta provocatori ma ritengo che, al
di la del sofisma di questi quesiti, la critica di Nichetti risulti
sufficientemente chiara ed esplicita.