lunedì 15 luglio 2013

Ladri di saponette - Un'analisi semiotica

Nel precedente post ho accennato alla dicotomia chiave del nostro discorso, ovvero quella fra linguaggi discorsivi strettamente legati alla realtà fenomenologica e quelli invece ascrivibili a realtà altre, fantastiche, meramente spettacolari. Se il film Ladri di biciclette, in quanto pellicola neorealista, è affine alla prima pratica discorsiva, il film Ladri di saponette di Maurizio Nichetti può a buon titolo inserirsi in una posizione mediana, ovvero a metà strada fra un linguaggio pedissequamente affine al reale (neorealista) ed un linguaggio artificioso, spettacolare, in alcuni momenti persino autoreferenziale e metacomunicativo. Possiamo perciò affermare che la pellicola di Nichetti, lungi dall'essere paragonabile agli stilemi neorealisti, si ritrova ad essere contagiata da elementi di questo movimento cinematografico, essa è infarcita di rimandi, suggerimenti, indizi a tal punto che possiamo a buon titolo parlare di contaminazione neorealista. Il discorso è assai complesso ma cercherò di semplificarlo e sintetizzarlo il più possibile, cercando di non comprometterne la comprensione.

Dobbiamo primariamente partire da un presupposto puramente temporale: la pellicola di Nichetti è datata 1989 mentre quella di De Sica risale al 1948, perciò questa abissale differenza testimonia sin da subito le naturali difformità stilistiche e contenutistiche che contraddistinguono questi film. Non vi possono perciò essere affinità di alcuna sorta fra di esse, proprio in virtù dell'abisso temporale che non può non rendere i due film assai diversi fra loro; possiamo invero riconoscere nel film di Nichetti, come poc'anzi anticipato, una contaminazione neorealista, ovvero un'approssimazione stilistica a questo movimento filmico: Ladri di saponette ricalca, solo in parte e solo nei primi istanti del film, la pellicola di De Sica, sia nei nomi dei personaggi principali e sia nella narrazione della storia. Nichetti epigono di De Sica? Imitatore senza fantasia? Non esattamente, pur essendo questo pensiero più che legittimo. Il discorso è in verità molto più complesso poiché l'intento di Nichetti non è quello di rievocare il movimento neorealista con una pellicola che ne ricalca i tratti distintivi, bensì la volontà di ricorrere a questo filone discorsivo con lo scopo di costruirvi sopra un secondo linguaggio, un discorso diverso, contemporaneo, commerciale, che va ad aggiungersi a quello neorealista. Ecco perciò che il ricorso agli stilemi neorealisti è solo un pretesto per dare vita ad una riflessione ben più ampia su altri tipi di linguaggi: quindi, come più volte ho sottolineato, la pellicola in questione realizza un metadiscorso, ovvero cerca di comunicare un'idea sul cinema utilizzando un movimento cinematografico. Il film parla del suo stesso mondo così come, allo stesso tempo, esso è pure autoreferenziale, poiché pregno di autocitazioni ed autoriferimenti. Abbiamo perciò un discorso sul discorso di un discorso. Questo apparente virtuosismo pleonastico è invece il discorso o, meglio, il meta-discorso, che Nichetti imbastisce nella realizzazione del suo film e che possiamo sinteticamente così riassumere:
A. discorso afferente al filone neorealista, con il richiamo al film di De Sica nelle prime sequenze del film;
B. discorso relativo alla critica, tramite l'aggancio neorealista, al rapporto fra cinema, televisione commerciale e pubblicità;
C. discorso inerente all'autoreferenzialità da parte del regista che si autocita nella pellicola e che rimanda a suoi precedenti discorsi filmici.

Diviene ora opportuno accennare brevemente alla trama del film di Nichetti: il regista stesso, autore del film Ladri di saponette, viene invitato in uno studio televisivo di un programma che parla di cinema dove il critico Claudio G. Fava, che interpreta se stesso, presenta al pubblico il film con tanto di commento personale. Senza che il regista dica una parola, al termine della presentazione del critico parte la messa in onda del film che però viene continuamente interrotto dagli spazi pubblicitari che, secondo le proteste del regista, impediscono al pubblico di capirne appieno la trama. Ad un certo punto si verifica in studio un blackout, la corrente salta e tutto si ferma; ma al ritorno dell'energia elettrica accade l'impossibile: i personaggi delle pubblicità hanno invaso il film e, allo stesso modo, i protagonisti del film hanno contaminato le pubblicità, dando così vita ad una curiosa mescolanza di ruoli e di stili narrativi assai differenti. In tal modo cinema, televisione e pubblicità vengono fusi assieme e con loro i corrispettivi linguaggi discorsivi, con l'infelice risultato che la trama del film si ritrova inevitabilmente compromessa e le vicende non vanno come dovrebbero andare. Tutto si mescola, nessun discorso funziona come dovrebbe funzionare, i personaggi passano da un mondo all'altro, da una sceneggiatura all'altra, sfilacciando così una pratica narrativa inizialmente lineare e coesa. Ma, contemporaneamente, l'impostazione narrativa di Nichetti si concentra anche su di un altro contesto, quello di una famiglia intenta a guardare la televisione in salotto e che vive ogni istante performante e deformante del film, dalla sua messa in onda inizialmente lineare e coerente sino alla segmentazione della trama. Anche in questo caso ritengo opportuno, per meglio comprenderne l'impostazione, suddividere il film in tre sezioni narrative, corrispondenti ad altrettanti tempi, luoghi e attanti così definiti:
  • sezione narrativa 1: è rappresentata da quello che possiamo definire il mondo reale, ovvero il tempo e il luogo iniziali del film dove si situano lo studio televisivo e i personaggi di Nichetti regista, del critico Claudio G. Fava e dei vari assistenti e tecnici di studio. Possiamo inserirvi inoltre anche il salotto della famiglia di telespettatori poiché, seppur ubicati in un ambiente differente, sono comunque calati nel mondo reale. Questa prima sezione narrativa combacia con l'inizio del film, perciò viene naturale supporre che sia questo il contesto principale della storia, poiché tutte le vicende successive hanno luogo da esso;
  • sezione narrativa 2: è quella relativa alla messa in onda del film Ladri di saponette: trattandosi di un metadiscorso, dal contesto del mondo reale se ne dipana un altro, quello del film recensito dal critico Fava in studio. Perciò, durante la visione del film Ladri di saponette avviene una messa in onda (a partire dal medesimo contesto) di un altro film avente il medesimo titolo del precedente. In altre parole, il vero titolo della pellicola si riferisce al film messo in onda nella pellicola stessa: Ladri di saponette è sia il film che io spettatore mi sto guardando in questo momento ma è anche (e soprattutto) il film di cui si parla all'interno della pellicola;
  • sezione narrativa 3: è quella inerente la pubblicità che, con insistenza, continua persistentemente ad interrompere la messa in onda del film (nel film) compromettendone la comprensione da parte del pubblico. Sospendendo momentaneamente ed improvvisamente il film, si passa con repentina celerità da un discorso narrativo all'altro, dal film alla pubblicità. Il distacco è particolarmente netto poiché se il discorso filmico abbisogna di tempi e tecniche opportuni per adempiere al suo linguaggio ed alla trama, il discorso pubblicitario ne risulta totalmente differente, presentandosi invece assai veloce, tempestivo, rapido, fulmineo. Il film ha bisogno di tempo per farsi capire e perciò necessità di un linguaggio ricercato; la pubblicità è invece di durata incredibilmente più breve e quindi più risulta di semplice approccio e più sarà incisiva per gli spettatori.
Questi continui passaggi da un contesto ad un altro sono semioticamente definiti operazioni enunciazionali e fanno prevalentemente riferimento all'aspetto temporale, già ampiamente ricordato nel corso della nostra trattazione. Queste difformità temporali ci inducono a suddividere il tempo del discorso in due parti, una definita embrayage, in riferimento all'io-qui-ora dell'istanza dell'enunciazione ed individuabile nel nostro caso nello studio televisivo e nel salotto della famiglia, ovvero quello che abbiamo definito “mondo reale”. Da questa prima aspettualizzazione temporale se ne dipana una seconda, definita débrayage, ovvero la proiezione di tempi, spazi e attanti diversi dall'istanza dell'enunciazione: nel nostro caso, il débrayage lo si rintraccia sia nella messa in onda del film nel film e sia negli stacchi pubblicitari, fulminei ed improvvisi. L'aspetto curioso di questo film di Nichetti risiede nel fatto che al débrayage relativo alla messa in onda del film non corrisponde l'embrayage del mondo reale ma si passa direttamente ad un secondo débrayage, quello pubblicitario: solo quando anche quest'ultima digressione temporale è compiuta allora si ritorna all'istanza dell'enunciazione. In definitiva, Nichetti allestisce una girandola di embrayage e di débrayage, di continui via vai enunciazionali, di perpetue uscite ed altrettanti rientri temporali in un gioco a dir poco funambolico e confusionario dal punto di vista tecnico tale da arrecare danno alla trama stessa del film, la quale si ritrova contaminata di attanti afferenti a tutti e tre i contesti discorsivi.

Oltre a presentare un costrutto discorsivo e narrativo peculiare, il film di Nichetti risulta anche autoreferenziale, ovvero il regista si autocita nella sua stessa opera: infatti, il protagonista del mondo reale è Nichetti regista, così come il critico cinematografico presente in studio, Claudio G. Fava, è effettivamente un vero critico, impersonando quindi se stesso; possiamo inoltre rintracciare in tutta la pellicola altri rimandi e riferimenti a precedenti opere di Nichetti, come ad esempio la famiglia di telespettatori che è la stessa vista nel film Ho fatto splash del 1980 e, sempre dello stesso film, è anche il recupero di una pubblicità fasulla di una bevanda, il cui motivetto viene riutilizzato in Ladri di saponette. Questi perpetui rimandi, come abbiamo già avuto modo di testimoniare, evidenziano il carattere autoreferenziale che il regista ha deciso di donare alla pellicola, senza perciò distanziarsi da quell'impostazione a metà strada fra un linguaggio legato al reale ed un linguaggio da esso (quasi) slegato. Ma le citazioni che Nichetti inserisce nel film non si limitano a se stesso ed alle sue precedenti opere giacché si rivolgono anche alla pellicola di De Sica dalla quale, come detto, riprende i nomi dei protagonisti (Antonio, il padre, Maria, la madre, e Bruno, il figlioletto) così come rievoca in maniera più o meno fedele alcune scene di Ladri di biciclette, in particolare due: la sequenza iniziale è pressoché identica a quella del film di De Sica, ovvero quando un impiegato dell'ufficio di collocamento chiama ad alta voce i nomi dei “fortunati” ai quali è stato assegnato un lavoro; mentre la seconda sequenza richiamata da Nichetti si riferisce al dialogo avuto fra Antonio e un ufficiale di polizia al momento della denuncia. In entrambe le scene Nichetti riporta quasi fedelmente non solo i personaggi ma anche le battute. Vi è però una sostanziale differenza formale nell'opera di Nichetti: mentre De Sica consente al protagonista di godere, almeno inizialmente, di una certa dose di serenità grazie al lavoro appena trovato ed alla bicicletta acquistata con fatica, Nichetti dona alsuo Antonio un senso di frustrazione derivante dall'impossibilità di trovare lavoro, testimoniato dalle inquadrature che ci mostrano Nichetti/Antonio vagabondare da un posto all'altro questuando un lavoro ma ogni qualvolta esso viene respinto. Ad entrambi i protagonisti viene tolto e concesso qualcosa, in modo quasi speculare:
  • Antonio di De Sica inizialmente non possiede una bicicletta e neppure un lavoro, mentre Antonio/Nichetti possiede già una bicicletta ma non un lavoro;
  • successivamente, Antonio di De Sica si ritrova privo di bicicletta ma con ancora il lavoro mentre Antonio/Nichetti si ritrova senza lavoro ma con ancora la bici;
  • infine, Antonio di De Sica non riesce nell'intento di ritrovare la sua bici, pur mantenendo il lavoro, mentre Antonio/Nichetti non solo non perde mai la bici ma ottiene addirittura dei beni di consumo e cibi vari non guadagnati grazie al lavoro ma ottenuti tramite la contaminazione “magica” del mondo pubblicitario nel film.
Queste continue relazioni di congiunzione e disgiunzione dagli Oggetti di valore (Ov) ci consentono di individuare i Programmi Narrativi (PN) dei personaggi i quali, come abbiamo appena visto, cambiano di continuo:
  • Antonio di De Sica sente la necessità di rendere la propria vita più dignitosa, per sé e per la propria famiglia (PN principale), ma per fare ciò deve ottenere un lavoro che gli consenta di raggiungere tale obiettivo (PN d'uso). La bicicletta gli torna utile, per non dire essenziale, al fine di garantirsi l'occupazione, perciò tale mezzo diviene l'Ov dell'attante;
  • Antonio/Nichetti persegue il medesimo obiettivo di Antonio di De Sica, sia per quanto riguarda il PN principale e sia per quanto riguarda il PN d'uso. Il ruolo che precedentemente era svolto dalla bicicletta ora viene svolto dalla moglie Maria, la quale si ritroverà coinvolta nell'immaginario mondo a colori delle pubblicità ed indurrà Antonio/Nichetti a cercarla disperatamente. Perciò, Maria diviene l'Ov del film di Nichetti, essendo essa l'elemento di giunzione e di coesione della famiglia. Inoltre, nell'opera di Nichetti possiamo individuare un secondo Ov, rappresentato dal lampadario di vetro tanto desiderato dalla moglie Maria. Tale Ov assume un significato non tanto per Antonio/Nichetti, che vede in esso l'ennesimo PN d'uso utile alla serenità famigliare, quanto per Maria stessa, che investe questo oggetto di una valorizzazione puramente personale.
In entrambi i film, inoltre, è presente un attante che svolge il ruolo di aiutante, impersonato dal figlioletto Bruno: tale personaggio è talmente simile nelle due pellicole, tanto nella figura quanto nel nome, da indurci a ritenerlo un attante duale; tuttavia, occorre sottolineare che tale attante duale si riferisce a personaggi appartenenti ad opere diverse, perciò questa valorizzazione si ascrive solamente al personaggio in quanto ruolo narrativo e non al personaggio in quanto attore. Invece, possiamo a buon titolo parlare di attante duale in riferimento a Nichetti, il quale nel medesimo percorso narrativo svolge sia il ruolo di regista del film e sia il ruolo di Antonio.

Infine, per concludere il discorso sugli attanti, in questa pellicola sembra apparentemente omessa la figura dell'antagonista, ovvero di quell'attante che persegue un PN contrario a quello del Soggetto. Ebbene, pur non rintracciando nella pellicola di Nichetti un personaggio investito di tale ruolo, possiamo desumere che l'Antisoggetto sia impersonato proprio dagli stessi spot pubblicitari: infatti, mentre Nichetti/regista persegue come PN principale l'esigenza di vedere il suo film mandato in onda per intero e senza distorsioni della trama, le interruzioni pubblicitarie perseguono l'esatto contrario, ovvero non fanno altro che interrompere la messa in onda del film sino a contaminarne la trama e l'intreccio. La fine del film sembra però non lasciare spazio ai dubbi: le pubblicità infatti sembrano avere irrimediabilmente compromesso l'intera struttura narrativa del film nel film poiché non ci viene concesso di sapere né se Nichetti/regista riuscirà ad uscire dal suo film, né se i personaggi delle pubblicità se ne ritorneranno nel loro mondo immaginifico, né se la moglie Maria resterà ancora insieme al marito o se lo lascerà per una carriera nel mondo dello spettacolo. In certo qual modo questo finale richiama il senso di smarrimento ed angoscia che suggerisce il film di De Sica, giacché Antonio e il figlio Bruno non riescono a ritrovare la bicicletta rubata.

Ma alla funzione narrativa Nichetti affianca anche un'aspra critica al cinema ed alla televisione, in una duplice relazione di complice colpevolezza: l'una è stata in grado di incidere sul discorso filmico a tal punto da spezzettarne le trame con i continui spot pubblicitari, pregiudicandone la comprensione e rischiando di allontanare il pubblico dalla visione del film; l'altro non è stato in grado di impedire questo prepotente controllo televisivo, dimostrandosi incapace di escogitare delle adeguate difese per preservare la propria dignità artistica. Ed ecco allora che la succitata contaminazione neorealista si viene a spiegare non solo come pretesto per la costruzione di un discorso sul discorso, ma serve soprattutto da contrafforte alla pesante critica avanzata da Nichetti che con l'emulazione dei nomi dei personaggi e delle prime vicende della pellicola, del tutto simili a quelle di Ladri di biciclette, vuole sia richiamare alla memoria dello spettatore i bei tempi che furono, i tempi gloriosi del cinema italiano, quando il neorealismo faceva scuola a livello internazionale, e sia rammentare allo spettatore come le condizioni odierne del cinema siano così peggiorate, a tal punto da piegarsi alle volontà e necessità delle logiche televisive. Se il cinema è un'arte, e se il film Ladri di biciclette viene unanimemente ritenuto un capolavoro (perciò un'opera d'arte) del neorealismo, com'è allora possibile che tale opera possa essere spezzettata, sezionata in porzioni dalla televisione al solo scopo di mandare in onda fugaci spot pubblicitari? Come possono l'estetica pubblicitaria, l'estetica del consumo, l'estetica dell'immagine prevale sulle opere d'arte e sulla loro fruizione? È perciò questa la direzione del cinema italiano? La segmentazione del prodotto filmico per fasce di audience, esattamente come avviene per qualsivoglia prodotto commerciale? Si è arrivati al punto in cui un film deve piacere ancora prima di suscitare riflessioni sui suoi contenuti?
Queste domande sono probabilmente destinate a restare senza risposta, ma se anche vi fossero delle risposte sarebbe purtroppo tutte affermative. Ammetto che questi interrogativi possono risultare pressoché stucchevoli e a loro volta provocatori ma ritengo che, al di la del sofisma di questi quesiti, la critica di Nichetti risulti sufficientemente chiara ed esplicita.

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