Rappresenta
un tema cruciale quello dell'informazione: se da un lato i cittadini
la esigono al fine di essere informati, dall'altro lato è
l'informazione stessa che deve adempiere al compito di divulgare il
sapere. Vi è quindi un sostrato che accomuna questi due intenti solo
in parte diversi, ovvero l'esigenza dell'informazione di poter
liberamente circolare grazie anche (e soprattutto) ai diversi mezzi
di comunicazione. Possiamo perciò individuare sia un diritto ad
essere informati,
per quanto riguarda i fruitori, e sia un diritto ad informare,
in merito ai produttori. Sarebbe forse d'aiuto a tal proposito
scomodare le teorie sociali sulla comunicazione di Schütz,
il quale faceva distinzione fra tre tipi di figure che detenevano o
fruivano dell'informazione e fra le quali faceva capolino il
cosiddetto “cittadino bene informato”,
un idealtipo posto a cavallo fra l'esperto,
cioè il massimo conoscitore di un determinato campo del sapere, e
l'uomo della strada,
ovvero il soggetto che raggiunge scopi tipici facendo uso di
strumenti altrettanto tipici, senza che esso si specializzi in un
certo settore. Il cittadino bene informato, come detto, si pone nel
mezzo di queste due figure, giacché esso non possiede né conoscenze
approfondite e specifiche e né mette in atto strategie già
consolidate per il completamento di compiti standardizzati: in altre
parole, il cittadino bene informato decide di lasciarsi informare,
ora attingendo dalle indiscusse certezze dell'esperto, ora osservando
le esperienze pratiche dell'uomo della strada. Questo però non
implica che il cittadino bene informato sia interessato a qualsiasi
argomento, così come non significa che non abbia gusti e interessi
personali nei confronti delle materie cui decide di avvicinarsi.
Poiché il suo scopo è quello di costruirsi delle opinioni
ragionevolmente fondate, egli prima sceglie uno o più argomenti di
suo interesse e poi decide a quale produttore di informazione
rivolgersi per trarre le conoscenze che desidera. Va da se che, fra i
tanti sistemi presenti che diffondono informazione e che di
conseguenza la producono, la televisione ancora oggi è il mezzo
prediletto sia da chi desidera essere informato e sia da chi si vuole
informare. Avendo a disposizione una platea così vasta, il mezzo
televisivo non ci ha pensato su due volte prima di proporre dei veri
e propri contenitori d'informazione, ovvero interi programmi dediti
alla circolazione di notizie: se al principio di questo sistema vi
erano i classici Telegiornali, con il tempo si è arrivati sino ai
celebri talk show
nei quali non solo si divulgano notizie ma queste ultime vengono
prodotte in un modo molto curioso, ovvero attraverso una
conversazione, un contraddittorio che avviene tra ospiti e
conduttori. Una volta deciso l'argomento ogni ospite viene
legittimato a fornire la propria opinione non in virtù della libertà
di pensiero e di parola, ma grazie alla rilevanza socialmente
riconosciuta della sua personalità, cioè all'importanza strategica
che il suo nome, la sua fama, la sua conoscenza riveste in un certe
ambito del sapere o della società in generale. Trattasi dei
cosiddetti “esperti” citati poc'anzi.
Alla
luce di questo pedante (ma a mio avviso necessario) indottrinamento
accademico, non si può non correre con la mente alla quantità
esorbitante e anche imbarazzante di talk show presenti nei palinsesti
televisivi italiani, forse l'unico paese al mondo che propone
un'offerta così ampia. Ebbene, se è vero che l'atto informativo
gode di due anime, quelle dell'emittente che produce la notizia e
quella del ricevente che la fruisce, è evidente che nella situazione
attuale il pubblico televisivo si trova vittima di uno squilibrio dal
lato dell'informazione poiché i talk show sono cresciuti come funghi
in ogni dove arrivando quasi a monopolizzare interi palinsesti. In un
panorama fortemente condizionato dai talk di certo i fautori della
“mancanza di informazione” o delle “leggi bavaglio” sul
diritto di cronaca non possono affatto lamentarsi perché l'offerta
di contenuti e contenitori è talmente vasta da lasciare l'imbarazzo
della scelta. Ma è davvero positiva questa overdose di talk show che
vogliono a tutti i costi informare? A mio avviso no di certo, non
tanto per la qualità o quantità dei contenuti, ma per l'incapacità
di autori e giornalisti di saper differenziare
tutti questi talk, i quali si presentano prevalentemente a carattere
economico-politico. È palese che il pubblico si trovi in difficoltà
dinnanzi ad un'offerta informativa così ampia, sia perché i
programmi sono davvero tanti e sia perché nessuno di essi si
distingue dagli altri. A questo surplus di talk show si accompagnano
anche gli ospiti, i famosi esperti citati poco sopra, impersonati sia
dagli onnipresenti politici, che a rotazione fanno le loro comparsate
nei vari talk, sia dai cittadini comuni, sempre più spesso
intervistati come testimoni degli effetti critici della crisi
economica, e sia dai cosiddetti economisti, siano essi giornalisti
esperti del settore o docenti universitari pluriacclamati.
Eppure
questo atipico contagio dei talk ha avuto un inizio ben specifico,
rintracciabile approssimativamente con l'inizio del celebre governo
Monti che, oltre ad essere stato uno degli esperimenti politici fra i
più fallimentari di sempre, ha avuto l'onere di introdurre nel gergo
quotidiano una serie di concetti e parole sino ad allora confinati
nel limbo dei tecnici del settore. Tutto ciò ha scatenato nella
società il bisogno sempre maggiore di tenersi informati, di imparare
e capire nuove parole di stampo economico così come la necessità
sempre più incalzante di manifestare il malcontento nei confronti di
politiche di rigore ed austerità prevalentemente mal digerite dalla
gente. Ecco allora che anche l'informazione televisiva non si è
sottratta a questo repentino cambiamento sociale delle tematiche
circolanti fra i cittadini e per meglio adempiere al suo ruolo di
mezzo di comunicazione la tv ha iniziato a presentare ai
telespettatori nuovi programmi d'approfondimento politico, sia per
fornire una maggiore possibilità di scelta da parte del pubblico e
sia per meglio disquisire delle tante tematiche in voga (nuove
terminologie economico/finanziarie, strumenti
legislativi/governativi/statali, rapporti europei, privilegi e
scandali della casta, governo di larghe intese et similia). Ma il
famigerato governo tecnico guidato dal serafico Mario Monti non solo
ha sdoganato le nuove parole di natura fiscale e finanziaria ma ha
anche comportato una radicale modifica degli equilibri delle forze
politiche, sostituendo allo scontro tra fazioni avversarie la
cosiddetta sobrietà, sospendendo la naturale diatriba politica con
un non ben definito “basso profilo” istituzionale. Questo ha
inevitabilmente comportato una radicale manipolazione non solo della
comunicazione politica ma anche degli stessi rapporti fra partiti,
una rivoluzione talmente estrema da avere persino dato vita ad un
governo PD/PdL, ovvero qualcosa di così surreale da non sembrare
neppure vero.
Dinnanzi
ad un panorama politico così fondamentalmente rivoluzionato, quasi
ogni rete televisiva ha accusato il dovere morale di fornire adeguati
programmi che permettessero di affrontare i nuovi temi all'ordine del
giorno, commettendo però l'errore esposto poc'anzi, ovvero
l'incapacità di differenziarsi. Un programma come “Piazzapulita”,
nato da una costola del santoriano “Anno Zero”, era stato
concepito con una sua specifica identità, cioè quella di dare voce
ad una piazza italiana di volta in volta diversa, sino alla quasi
definitiva scomparsa di questa marca identitaria per livellarsi agli
standard del classico talk politico. Il medesimo discorso vale per
“La Gabbia”
di Gianluigi Paragone nel quale non si coglie lo spirito che anima il
programma, rendendolo perfettamente identico all'onnipresente “Porta
a Porta”,
giusto per citare un talk rappresentativo. Nessun commento da
spendere invece per il “Virus”
di Nicola Porro, creato quasi per fare un favore al conduttore
piuttosto che per un dovere d'informazione della tv pubblica. Che
dire invece di”Coffee
Break”,
programma delle 9.40 del mattino creato per fare indigestione dopo la
colazione? Stessi ospiti, stesse tematiche, stessi servizi/inchieste
di qualsivoglia altro talk. Gli unici programmi che in un qualche
modo riescono nel non facile tentativo di distinguersi sono “Servizio
Pubblico”
di Michele Santoro, non tanto per lo stile del conduttore ma per
l'ostinazione dello stesso ad affrontare sempre il medesimo tema,
cioè la sua iperbolica idiosincrasia per il Cavaliere, e il nuovo
“Matrix”
di Luca Telese, che ogni tanto affronta argomenti diametralmente
differenti dalla politica riuscendo a realizzare ugualmente della
buona informazione. La faziosità di “Ballarò”
lascia il tempo che trova e nulla aggiunge ai programmi ad esso
affini, così come l'”Otto
e Mezzo”
di Lilli Gruber che almeno si differenzia per non invitare una
sequela di ospiti ma uno soltanto, favorendo il dialogo. A supporto
dello scontento da parte del pubblico nei riguardi di questa anomala
invasione di trasmissioni giornalistiche troviamo i dati Auditel, non
proprio lusinghieri poiché i nuovi talk politici non vengono affatto
premiati dagli ascolti, eccezion fatta per i sempiterni Porta a
Porta, Servizio Pubblico e Ballarò, ormai ampiamente consolidati.
Alla
luce di ciò, quali possono essere le condizioni psicofisiche del
nostro cittadino bene informato? Di certo sarà un individuo stanco,
spossato dalla reiterazione ipertrofica dei medesimi argomenti,
ripetuti a oltranza nei vari programmi e questo non può che
comportare una perdita di lucidità mentale; poi il nostro cittadino
sarà anche disorientato, verrà colto da un forte attacco di
labirintite causato da questo ginepraio senza uscita di talk tutti
uguali e tutti incapaci di dire alcunché d'interessante; infine,
ultimo aspetto, il nostro cittadino risulterà davvero “ben”
informato? Ma a pensarci bene, cosa significa essere “ben”
informati? Che cos'è la buona informazione e come si fa a
realizzarla? Di sicuro non è il sottoscritto che si deve fare carico
di fornire la ricetta giusta ma di certo esiste una deontologia
giornalistica che in certo qual modo garantisce un grado
d'imparzialità e di oggettività nel dare le notizie, permettendo
così ai cittadini di potersi creare opinioni autonome sui fatti
narrati, senza rischiare d'essere condizionati dalle posizioni di un
giornalista. Però questa imparzialità non è affatto sufficiente al
fine di garantire una buona informazione poiché servono anche le
cosiddette fonti cui si attinge per arricchire la notizia di maggiori
dettagli e la scelta delle fonti è del tutto personale, non esistono
fonti di serie A e altre di serie B: tutto è a discrezione del
giornalista che reputa autonomamente quali fonti sono attendibili e
quali no. Il medesimo discorso vale per il cittadino poiché
l'attendibilità e l'autorevolezza di un programma d'informazione
vanno a suo gusto personale, è lui che decide quale talk è più
serio rispetto a un altro. Purtuttavia appare evidente che d'innanzi
ad una forte crisi economica i bisogni e le necessità individuali
cambiano, sorgono nuove incombenze, nuovi impegni e nuove necessità
ed il cittadino, vessato da ben altri problemi, non ha tempo e voglia
di sedersi dirimpetto alla tv e sorbirsi l'ennesimo litigio fra
politici che invece i problemi dovrebbero risolverli, così come ci
si stanca di ricevere lezioncine stucchevoli dall'economista di turno
che è stato estrapolato dall'anonimato per essere calato nell'arena
mediatica con facoltà di utilizzare il suo quarto d'ora di celebrità
per renderci partecipi della sua personale ricetta per uscire dalla
crisi; ricetta che immancabilmente va a scontrarsi con quella di un
altro economista che, guarda caso, la pensa in maniera diversa.
Pertanto
sorge un dubbio: non è che un eccesso di informazione può portare
ad un eccesso di disinformazione? Per avere una risposta sarebbe
l'ideale rivolgersi a un qualche esperto di comunicazione...
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