mercoledì 30 ottobre 2013

Il Servizio Pubblico di Porta a Porta mette in Gabbia il Virus facendone Piazzapulita alle Otto e Mezzo durante il Coffee Break di Matrix

Rappresenta un tema cruciale quello dell'informazione: se da un lato i cittadini la esigono al fine di essere informati, dall'altro lato è l'informazione stessa che deve adempiere al compito di divulgare il sapere. Vi è quindi un sostrato che accomuna questi due intenti solo in parte diversi, ovvero l'esigenza dell'informazione di poter liberamente circolare grazie anche (e soprattutto) ai diversi mezzi di comunicazione. Possiamo perciò individuare sia un diritto ad essere informati, per quanto riguarda i fruitori, e sia un diritto ad informare, in merito ai produttori. Sarebbe forse d'aiuto a tal proposito scomodare le teorie sociali sulla comunicazione di Schütz, il quale faceva distinzione fra tre tipi di figure che detenevano o fruivano dell'informazione e fra le quali faceva capolino il cosiddetto “cittadino bene informato”, un idealtipo posto a cavallo fra l'esperto, cioè il massimo conoscitore di un determinato campo del sapere, e l'uomo della strada, ovvero il soggetto che raggiunge scopi tipici facendo uso di strumenti altrettanto tipici, senza che esso si specializzi in un certo settore. Il cittadino bene informato, come detto, si pone nel mezzo di queste due figure, giacché esso non possiede né conoscenze approfondite e specifiche e né mette in atto strategie già consolidate per il completamento di compiti standardizzati: in altre parole, il cittadino bene informato decide di lasciarsi informare, ora attingendo dalle indiscusse certezze dell'esperto, ora osservando le esperienze pratiche dell'uomo della strada. Questo però non implica che il cittadino bene informato sia interessato a qualsiasi argomento, così come non significa che non abbia gusti e interessi personali nei confronti delle materie cui decide di avvicinarsi. Poiché il suo scopo è quello di costruirsi delle opinioni ragionevolmente fondate, egli prima sceglie uno o più argomenti di suo interesse e poi decide a quale produttore di informazione rivolgersi per trarre le conoscenze che desidera. Va da se che, fra i tanti sistemi presenti che diffondono informazione e che di conseguenza la producono, la televisione ancora oggi è il mezzo prediletto sia da chi desidera essere informato e sia da chi si vuole informare. Avendo a disposizione una platea così vasta, il mezzo televisivo non ci ha pensato su due volte prima di proporre dei veri e propri contenitori d'informazione, ovvero interi programmi dediti alla circolazione di notizie: se al principio di questo sistema vi erano i classici Telegiornali, con il tempo si è arrivati sino ai celebri talk show nei quali non solo si divulgano notizie ma queste ultime vengono prodotte in un modo molto curioso, ovvero attraverso una conversazione, un contraddittorio che avviene tra ospiti e conduttori. Una volta deciso l'argomento ogni ospite viene legittimato a fornire la propria opinione non in virtù della libertà di pensiero e di parola, ma grazie alla rilevanza socialmente riconosciuta della sua personalità, cioè all'importanza strategica che il suo nome, la sua fama, la sua conoscenza riveste in un certe ambito del sapere o della società in generale. Trattasi dei cosiddetti “esperti” citati poc'anzi.

Alla luce di questo pedante (ma a mio avviso necessario) indottrinamento accademico, non si può non correre con la mente alla quantità esorbitante e anche imbarazzante di talk show presenti nei palinsesti televisivi italiani, forse l'unico paese al mondo che propone un'offerta così ampia. Ebbene, se è vero che l'atto informativo gode di due anime, quelle dell'emittente che produce la notizia e quella del ricevente che la fruisce, è evidente che nella situazione attuale il pubblico televisivo si trova vittima di uno squilibrio dal lato dell'informazione poiché i talk show sono cresciuti come funghi in ogni dove arrivando quasi a monopolizzare interi palinsesti. In un panorama fortemente condizionato dai talk di certo i fautori della “mancanza di informazione” o delle “leggi bavaglio” sul diritto di cronaca non possono affatto lamentarsi perché l'offerta di contenuti e contenitori è talmente vasta da lasciare l'imbarazzo della scelta. Ma è davvero positiva questa overdose di talk show che vogliono a tutti i costi informare? A mio avviso no di certo, non tanto per la qualità o quantità dei contenuti, ma per l'incapacità di autori e giornalisti di saper differenziare tutti questi talk, i quali si presentano prevalentemente a carattere economico-politico. È palese che il pubblico si trovi in difficoltà dinnanzi ad un'offerta informativa così ampia, sia perché i programmi sono davvero tanti e sia perché nessuno di essi si distingue dagli altri. A questo surplus di talk show si accompagnano anche gli ospiti, i famosi esperti citati poco sopra, impersonati sia dagli onnipresenti politici, che a rotazione fanno le loro comparsate nei vari talk, sia dai cittadini comuni, sempre più spesso intervistati come testimoni degli effetti critici della crisi economica, e sia dai cosiddetti economisti, siano essi giornalisti esperti del settore o docenti universitari pluriacclamati.

Eppure questo atipico contagio dei talk ha avuto un inizio ben specifico, rintracciabile approssimativamente con l'inizio del celebre governo Monti che, oltre ad essere stato uno degli esperimenti politici fra i più fallimentari di sempre, ha avuto l'onere di introdurre nel gergo quotidiano una serie di concetti e parole sino ad allora confinati nel limbo dei tecnici del settore. Tutto ciò ha scatenato nella società il bisogno sempre maggiore di tenersi informati, di imparare e capire nuove parole di stampo economico così come la necessità sempre più incalzante di manifestare il malcontento nei confronti di politiche di rigore ed austerità prevalentemente mal digerite dalla gente. Ecco allora che anche l'informazione televisiva non si è sottratta a questo repentino cambiamento sociale delle tematiche circolanti fra i cittadini e per meglio adempiere al suo ruolo di mezzo di comunicazione la tv ha iniziato a presentare ai telespettatori nuovi programmi d'approfondimento politico, sia per fornire una maggiore possibilità di scelta da parte del pubblico e sia per meglio disquisire delle tante tematiche in voga (nuove terminologie economico/finanziarie, strumenti legislativi/governativi/statali, rapporti europei, privilegi e scandali della casta, governo di larghe intese et similia). Ma il famigerato governo tecnico guidato dal serafico Mario Monti non solo ha sdoganato le nuove parole di natura fiscale e finanziaria ma ha anche comportato una radicale modifica degli equilibri delle forze politiche, sostituendo allo scontro tra fazioni avversarie la cosiddetta sobrietà, sospendendo la naturale diatriba politica con un non ben definito “basso profilo” istituzionale. Questo ha inevitabilmente comportato una radicale manipolazione non solo della comunicazione politica ma anche degli stessi rapporti fra partiti, una rivoluzione talmente estrema da avere persino dato vita ad un governo PD/PdL, ovvero qualcosa di così surreale da non sembrare neppure vero.

Dinnanzi ad un panorama politico così fondamentalmente rivoluzionato, quasi ogni rete televisiva ha accusato il dovere morale di fornire adeguati programmi che permettessero di affrontare i nuovi temi all'ordine del giorno, commettendo però l'errore esposto poc'anzi, ovvero l'incapacità di differenziarsi. Un programma come “Piazzapulita”, nato da una costola del santoriano “Anno Zero”, era stato concepito con una sua specifica identità, cioè quella di dare voce ad una piazza italiana di volta in volta diversa, sino alla quasi definitiva scomparsa di questa marca identitaria per livellarsi agli standard del classico talk politico. Il medesimo discorso vale per “La Gabbia” di Gianluigi Paragone nel quale non si coglie lo spirito che anima il programma, rendendolo perfettamente identico all'onnipresente “Porta a Porta”, giusto per citare un talk rappresentativo. Nessun commento da spendere invece per il “Virus” di Nicola Porro, creato quasi per fare un favore al conduttore piuttosto che per un dovere d'informazione della tv pubblica. Che dire invece di”Coffee Break”, programma delle 9.40 del mattino creato per fare indigestione dopo la colazione? Stessi ospiti, stesse tematiche, stessi servizi/inchieste di qualsivoglia altro talk. Gli unici programmi che in un qualche modo riescono nel non facile tentativo di distinguersi sono “Servizio Pubblico” di Michele Santoro, non tanto per lo stile del conduttore ma per l'ostinazione dello stesso ad affrontare sempre il medesimo tema, cioè la sua iperbolica idiosincrasia per il Cavaliere, e il nuovo “Matrix” di Luca Telese, che ogni tanto affronta argomenti diametralmente differenti dalla politica riuscendo a realizzare ugualmente della buona informazione. La faziosità di “Ballarò” lascia il tempo che trova e nulla aggiunge ai programmi ad esso affini, così come l'”Otto e Mezzo” di Lilli Gruber che almeno si differenzia per non invitare una sequela di ospiti ma uno soltanto, favorendo il dialogo. A supporto dello scontento da parte del pubblico nei riguardi di questa anomala invasione di trasmissioni giornalistiche troviamo i dati Auditel, non proprio lusinghieri poiché i nuovi talk politici non vengono affatto premiati dagli ascolti, eccezion fatta per i sempiterni Porta a Porta, Servizio Pubblico e Ballarò, ormai ampiamente consolidati.

Alla luce di ciò, quali possono essere le condizioni psicofisiche del nostro cittadino bene informato? Di certo sarà un individuo stanco, spossato dalla reiterazione ipertrofica dei medesimi argomenti, ripetuti a oltranza nei vari programmi e questo non può che comportare una perdita di lucidità mentale; poi il nostro cittadino sarà anche disorientato, verrà colto da un forte attacco di labirintite causato da questo ginepraio senza uscita di talk tutti uguali e tutti incapaci di dire alcunché d'interessante; infine, ultimo aspetto, il nostro cittadino risulterà davvero “ben” informato? Ma a pensarci bene, cosa significa essere “ben” informati? Che cos'è la buona informazione e come si fa a realizzarla? Di sicuro non è il sottoscritto che si deve fare carico di fornire la ricetta giusta ma di certo esiste una deontologia giornalistica che in certo qual modo garantisce un grado d'imparzialità e di oggettività nel dare le notizie, permettendo così ai cittadini di potersi creare opinioni autonome sui fatti narrati, senza rischiare d'essere condizionati dalle posizioni di un giornalista. Però questa imparzialità non è affatto sufficiente al fine di garantire una buona informazione poiché servono anche le cosiddette fonti cui si attinge per arricchire la notizia di maggiori dettagli e la scelta delle fonti è del tutto personale, non esistono fonti di serie A e altre di serie B: tutto è a discrezione del giornalista che reputa autonomamente quali fonti sono attendibili e quali no. Il medesimo discorso vale per il cittadino poiché l'attendibilità e l'autorevolezza di un programma d'informazione vanno a suo gusto personale, è lui che decide quale talk è più serio rispetto a un altro. Purtuttavia appare evidente che d'innanzi ad una forte crisi economica i bisogni e le necessità individuali cambiano, sorgono nuove incombenze, nuovi impegni e nuove necessità ed il cittadino, vessato da ben altri problemi, non ha tempo e voglia di sedersi dirimpetto alla tv e sorbirsi l'ennesimo litigio fra politici che invece i problemi dovrebbero risolverli, così come ci si stanca di ricevere lezioncine stucchevoli dall'economista di turno che è stato estrapolato dall'anonimato per essere calato nell'arena mediatica con facoltà di utilizzare il suo quarto d'ora di celebrità per renderci partecipi della sua personale ricetta per uscire dalla crisi; ricetta che immancabilmente va a scontrarsi con quella di un altro economista che, guarda caso, la pensa in maniera diversa.

Pertanto sorge un dubbio: non è che un eccesso di informazione può portare ad un eccesso di disinformazione? Per avere una risposta sarebbe l'ideale rivolgersi a un qualche esperto di comunicazione...

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