mercoledì 14 maggio 2014

Chiambretti Supermarket - Recensione



Come ammesso dallo stesso conduttore, Pierino la peste mancava dal piccolo schermo da quasi due anni e mezzo e perciò era fondamentalmente necessario ritornare in video per suggellare il proprio stato di buona salute e costituzione fisica. Ma probabilmente per questo si sarebbe rivelato più consono una visitina dal medico piuttosto che tediare gli spettatori con un programma insapore che non ha proprio nulla da raccontare, è privo di contenuti rilevanti oppure, detto altrimenti, i contenuti ci sono ma, trattandosi di un supermercato, possiamo dire che sono ampiamente scaduti.

Tutto odora di già visto, tutto sembra riciclato dagli scarti di qualche talent show, persino le risate e gli applausi sono farlocchi, addirittura la scenografia “a cassettoni” procura un effetto déjà vu sicché rimanda al compianto “Gioco dei 9” e pure il titolo del programma rievoca il vecchio “Markette”, il programma di telepromozioni culturali de La7. Il conduttore si presenta come suo solito azzimato da gran galà, sciorina spiegazioni alternate alle presentazioni del cast, arranca nelle battute che si presentano fiacche non essendo sostenute dal calore del pubblico in studio e l'atmosfera generale diviene via via più sonnolenta.

Sembra quasi non essere lo stesso Chiambretti di sempre e la sensazione è proprio quella di uno show raffazzonato alla bell'e meglio, incapace di veicolare contenuti originali o degni d'essere visti. Il ritmo generale è ampiamente sottotono ed aleggia nello studio praticamente vuoto una mestizia imperante, tragica. Dopo iperbolici prologhi e antefatti vari finalmente lo show inscena il suo pezzo forte, il motivo per il quale esso stesso è stato creato, ovvero persone comuni che al loro lavoro normale affiancano una vita parallela un po' pazzerella. Perciò, ci sono stati presentati gli articoli/concorrenti, definiti saggiamente casi humani, che si sono candidamente esibiti, si sono prezzati con tanto di benestare del direttore dormiente del supermarket Cristiano Malgioglio che ha profuso a tutti e tre gli stessi aggettivi ed infine un bel “via alle telefonate” che fa tanto tv anni '90.

Orbene, alla luce di ciò, dove risiederebbe l'originalità scatenante la nascita dello show? La questione rivendicata dagli autori sarebbe quella di essere i primi in tv a presentare gente che si (s)vende, spacciando questo fatto come un'iperbolica peculiarità. Si tratta, invero, di un astuto stratagemma poiché in tale meccanismo non vi è affatto nulla che possa confermare la tanto declamata unicità dello show: è davvero così unico e mai visto prima dare un prezzo all'esibizione di un performer, tenendo conto che nessun individuo al mondo è disposto a lavorare gratis? Perché è di questo che si sta parlando, ovvero di dare un costo ad un'esibizione per poi venderla a chi è interessato. Rivoluzione? Niente affatto.

Il vero spettacolo lo si ravvede nell'affabile sagacia goliardica del conduttore, il cui stile e sarcasmo sono finalmente venuti alla luce dopo tre puntate, ovvero quando ormai il ritmo del programma si era finalmente stabilizzato consentendo al pubblico di riconoscere il Chiambretti di sempre. Resta comunque il fatto che il contenuto dello show vacilla alquanto e l'impressione è che si è tentato di rappresentare una sintesi fra i precedenti programmi di successo del conduttore: da un lato “Markette” per via della vendita di carne umana nel supermarket e dall'altro il “Chiambretti Night” rintracciabile nel medesimo modus operandi del conduttore e nei componenti del cast che donano quel tocco metafisico al programma. In pratica si è realizzato un simpatico gioco fra contenente e contenuto, una sorta di tentativo metonimico con il quale, che si chiami “Chiambretti Night”, o “Markette” o “Chiambretti Supermarket”, in realtà si sta parlando della stessa cosa.

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