Come ammesso dallo stesso conduttore, Pierino la peste mancava dal piccolo schermo da quasi due anni e mezzo e perciò era fondamentalmente necessario ritornare in video per suggellare il proprio stato di buona salute e costituzione fisica. Ma probabilmente per questo si sarebbe rivelato più consono una visitina dal medico piuttosto che tediare gli spettatori con un programma insapore che non ha proprio nulla da raccontare, è privo di contenuti rilevanti oppure, detto altrimenti, i contenuti ci sono ma, trattandosi di un supermercato, possiamo dire che sono ampiamente scaduti.
Tutto
odora di già visto, tutto sembra riciclato dagli scarti di qualche
talent show, persino le risate e gli applausi sono farlocchi,
addirittura la scenografia “a cassettoni” procura un effetto déjà
vu sicché rimanda al compianto “Gioco dei 9” e pure il titolo
del programma rievoca il vecchio “Markette”, il
programma di telepromozioni culturali de La7.
Il conduttore si presenta come suo solito azzimato da gran galà,
sciorina spiegazioni alternate alle presentazioni del cast, arranca
nelle battute che si presentano fiacche non essendo sostenute dal
calore del pubblico in studio e l'atmosfera generale diviene via via
più sonnolenta.
Sembra
quasi non essere lo stesso Chiambretti di sempre e la sensazione è
proprio quella di uno show raffazzonato alla bell'e meglio, incapace
di veicolare contenuti originali o degni d'essere visti. Il ritmo
generale è ampiamente sottotono ed aleggia nello studio praticamente
vuoto una mestizia imperante, tragica. Dopo iperbolici prologhi e
antefatti vari finalmente lo show inscena il suo pezzo forte, il
motivo per il quale esso stesso è stato creato, ovvero persone
comuni che al loro lavoro normale affiancano una vita parallela un
po' pazzerella. Perciò, ci sono stati presentati gli
articoli/concorrenti, definiti saggiamente casi humani,
che si sono candidamente esibiti, si sono prezzati con tanto di
benestare del direttore dormiente del supermarket Cristiano
Malgioglio che ha profuso a tutti e tre gli stessi aggettivi ed
infine un bel “via alle telefonate” che fa tanto tv anni '90.
Orbene,
alla luce di ciò, dove risiederebbe l'originalità scatenante la
nascita dello show? La questione rivendicata dagli autori sarebbe
quella di essere i primi in tv a presentare gente che si (s)vende,
spacciando questo fatto come un'iperbolica peculiarità. Si tratta,
invero, di un astuto stratagemma poiché in tale meccanismo non vi è
affatto nulla che possa confermare la tanto declamata unicità dello
show: è davvero così unico e mai visto prima dare un prezzo
all'esibizione di un performer, tenendo conto che nessun individuo al
mondo è disposto a lavorare gratis? Perché è di questo che si sta
parlando, ovvero di dare un costo ad un'esibizione per poi venderla a
chi è interessato. Rivoluzione? Niente affatto.
Il
vero spettacolo lo si ravvede nell'affabile sagacia goliardica del
conduttore, il cui stile e sarcasmo sono finalmente venuti alla luce
dopo tre puntate, ovvero quando ormai il ritmo del programma si era
finalmente stabilizzato consentendo al pubblico di riconoscere il
Chiambretti di sempre. Resta comunque il fatto che il contenuto dello
show vacilla alquanto e l'impressione è che si è tentato di
rappresentare una sintesi
fra i precedenti programmi di successo del conduttore: da un lato
“Markette” per via della vendita di carne umana nel supermarket e
dall'altro il “Chiambretti Night” rintracciabile nel medesimo
modus operandi del conduttore e nei componenti del cast che donano
quel tocco metafisico al programma. In pratica si è realizzato un
simpatico gioco fra contenente e contenuto, una sorta di tentativo
metonimico con il quale, che si chiami “Chiambretti Night”, o
“Markette” o “Chiambretti Supermarket”, in realtà si sta
parlando della stessa cosa.
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