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venerdì 24 ottobre 2014
sabato 18 ottobre 2014
sabato 11 ottobre 2014
giovedì 2 ottobre 2014
L'autonomia della rete tra informazione e partecipazione
Che
la rete ed i servizi ad essa connessi giocano oggi un ruolo
fondamentale nella nostra società è indiscusso e ben evidente,
soprattutto se si guarda al peso rilevante rappresentato dai social
network, sempre più investiti da forti valori identitari dai loro
possessori e sempre più vicini a diventare la (quasi) perfetta
trasposizione virtuale della vita reale.
Nel
campo dell'informazione la rete diviene incredibilmente strategica
per quanto concerne i fattori della tempestività e dell'immediatezza
della notizia, permettendo così la circolazione di informazioni in
tempi limitati o quasi immediati e, parimenti, riducendo
considerevolmente (per non dire completamente) i tempi e i costi di
pubblicazione: ciò ha giovato non solo alle testate giornalistiche
online che hanno così allargato il pubblico di fruitori grazie alle
versioni digitali dei giornali cartacei, ma ha favorito anche la
nascita di nuove forme di comunicazione giornalistica o
paragiornalistica, come i blog o le pagine Facebook di determinati
gruppi o personaggi noti.
Questo
allargamento del ruolo dell'informazione a modi di comunicazione non
prettamente legati a giornalisti professionisti o a tecnici del
settore ha contribuito non solo a rendere più libera ed immediata la
fruizione delle informazioni ma ha concesso l'opportunità di rendere
la rete un luogo più democratico, consentendo a qualsiasi utente di
divenire egli stesso una fonte di diffusione delle notizie: è ciò
che viene comunemente definito “autocomunicazione
di massa”,
cioè l'autonoma capacità di ogni singolo individuo di divenire un
vettore di contenuti e di gestire a sua volta la stesura e la
circolazione di notizie, avendo facoltà di scegliere sia il
contenuto delle stesse e sia il pubblico cui rivolgersi.
Con l'evolversi del
concetto, ampiamente discusso, di “web 2.0”, queste forme di
autocomunicazione di massa si sono via via moltiplicate sino a
consentire a tutti gli individui online di divenire allo stesso tempo
canali e diffusori di informazione, dando così vita ad un intricato
e complesso circuito di fonti, notizie, articoli, immagini, commenti
e video pressoché illimitato.
Questo
processo ricopre una funzione assai interessante per quanto riguarda
le capacità
di ricoprire un ruolo duale dagli utenti, ovvero da un lato fruitori
e dall'altro lato produttori di notizie: appare interessante sia
perché, ritornando al concetto di democrazia citato poc'anzi,
consente una circolazione di notizie più efficace e
quantitativamente maggiore, e sia perché si tratta di “pratiche
creative dal basso”,
spesso spontanee, a volte imprecise o grezze, ma che in ogni caso
permettono la produzione autonoma e individuale di contenuti
specifici e di poterli veicolare verso un gruppo ristretto di amici o
di cultori di un determinato settore.
Tale considerazione sul
ruolo svolto dalla rete ci porterebbe all'analisi, piuttosto
complessa e articolata, da un lato sul tipo di individui che fanno
uso dei servizi della rete e dall'altro ci consentirebbe di osservare
le ripercussioni sociali ed effettive che tale meccanismo scatena
nella realtà, ovvero offline. Sicché il discorso diverrebbe
eccessivamente lungo, ci è sufficiente qui solo menzionare che il
profilo sociale degli utenti che tendono a ricoprire tale ruolo duale
e a possedere le adeguate competenze tecniche per l'utilizzo della
rete si attesta, dal punto di vista anagrafico, in un range di età
che oscilla fra i 15 e i 29 anni ed è caratterizzato prevalentemente
da un pubblico di uomini. L'aspetto anagrafico non ricopre invece
particolare rilevanza per quanto concerne la sola fruizione delle
informazioni o l'accesso alla rete. Purtuttavia, se anche la
rete svolge un ruolo davvero positivo nella visione d'insieme sin qui
delineata, sorgono delle problematiche che rendono questo processo
alquanto fallace, almeno in relazione ad alcuni fattori decisivi che
possono così essere brevemente riassunti:
- la rete, ancor prima di ricoprire un ruolo è essa stessa un luogo assai particolare: in essa sono assenti i tre elementi cardine sui quali si fonda qualsivoglia nozione di luogo, ovvero lo spazio, il tempo e, soprattutto, il contesto di riferimento. In assenza di quest'ultimo aspetto, ogni argomento discusso in rete si presta ad essere considerato “fuori contesto” poiché inserito in un non-luogo dove lo spazio-tempo è assente o appena abbozzato. Mentre nella realtà immanente i discorsi vengono scatenati da diverse situazioni contestuali, nella rete tale processo non è spontaneo e viene pianificato a tavolino, rendendo perciò effimero lo stesso ruolo ricoperto dalle informazioni in esso circolanti;
- secondariamente, l'aspetto chiamato “azione collettiva individualizzata” rende assai bene il ruolo ricoperto dai singoli utenti che, se è vero che fanno parte della massa dei fruitori e dei produttori, è altresì vero che ogni individuo vale per se ed ogni sua azione effettuata online può non avere una corrispondenza con una medesima azione offline. È questo il caso dei tanti movimenti o gruppi sociali nati in rete e principalmente legati alla sfera della politica, quasi tutti epigoni del gruppo di pressione americano MoveOn.org nato per promuovere una petizione online contro l'allora presidente Clinton e gli scandali politici ad esso legati; l'inefficacia dei social network la si riscontra in una notevole divergenza fra partecipazione online e offline: è il fenomeno noto col nome di “clicktivism” che evidenzia proprio una netta divergenza quantitativa fra il numero dei “mi piace” e il numero dei partecipanti alle proteste e/o agli incontri: è questo il caso lampante del Popolo Viola nato nel 2009 per richiedere le dimissioni di Berlusconi, oppure del ben più noto MoVimento 5 Stelle, dove, se in rete la partecipazione di iscritti ai gruppi, ai forum e alle discussioni era incredibilmente elevata, la medesima euforia non si è tradotta in termini di assenso e partecipazione ai gruppi ed agli incontri offline, che hanno invece registrato un'affluenza esigua rispetto alle aspettative;
- il più importante e rilevante problema ancora oggi presente nella rete riguarda la sua incapacità di essere indipendente dagli altri mezzi di comunicazione, i quali sono al contrario vitali per dare un senso al peso della rete: in altre parole, se ad una data notizia che circola in rete non viene dato risalto da un altro media che la riprende e la trasmette a sua volta ad altri media, essa rischierebbe di passare inosservata, compromettendo perciò il ruolo strategico che invece la rete intenderebbe rivendicare. Questo dimostra l'evidente sudditanza della rete dagli altri media, senza i quali essa non avrebbe risalto alcuno e tutte le nuove forme di comunicazione sopraccitate diverrebbero inutili poiché fini a se stesse o utili ad un limitatissimo gruppo di persone.
Queste
ultime considerazioni ci portano a concludere quanto il divario
digitale
sia ancora molto forte nella società e di quanto lavoro vi è ancora
da fare per allargare e diffondere l'utilizzo della rete e dei suoi
servizi a tutti i cittadini; tale aspetto è avvalorato dal tipo di
fruitori di internet che, come abbiamo visto, si presentano
prevalentemente giovani e ritengono strategico l'utilizzo di nuove
forme mediali di comunicazione solo perché tali strumenti rientrano
nel loro bagaglio culturale e dai quali perciò non possono
prescindere. La parte restante della popolazione guarda ai nuovi
media con scetticismo, continuando a preferire come fonti utili di
informazione i quotidiani cartacei e la televisione.
Un
altro aspetto negativo della rete è l'eccessiva
democrazia
e libertà di opinione: nascosti dall'anonimato di un nickname molti
autori si accollano la facoltà di sentenziare giudizi e commenti che
talvolta ledono la dignità altrui e che, comprensibilmente,
rischiano di danneggiare il ruolo stesso della rete che diviene così
talmente democratica che al suo interno si possono trovare tante
notizie buone ed attendibili quanto cattive o poco credibili. Perciò,
il cittadino che consulta la rete deve intraprendere un lavoro di
ricerca delle informazioni possibilmente attendibili ben maggiore
rispetto a quello che deve compiere un utente televisivo che conosce
gli orari esatti di messa in onda dei notiziari e che sceglie quelli
a cui prestare più attenzione.
L'ennesimo aspetto
negativo è legato alle capacità e conoscenze nell'uso dei nuovi
media giacché diviene cruciale acquisire conoscenze pratiche e
tecniche per confrontarsi con i nuovi dispositivi e le relative
interfacce; tale aspetto rischia di divenire assai problematico per
quell'ampia fascia di popolazione anziana o che comunque non dispone
di nessun dispositivo per l'accesso alla rete.
In definitiva, il peso
della rete oggi, come abbiamo avuto modo di vedere seppur
sinteticamente, se da un lato è importante, dall'altro è ancora
incapace di essere autosufficiente e deve perciò fare affidamento
sull'appoggio di altri media, la tv in particolare, che riescono a
dare risalto alle informazioni circolanti nel web.
Abbiamo
quindi visto due brevissimi esempi che hanno dimostrano quanto sinora
affermato: per prima cosa ho fatto menzione all'aspetto della
partecipazione
online
in riferimento all'ambito politico e di come non vi sia un rapporto
diretto e quantitativamente preciso fra attivismo online e offline,
sintomo di una dipendenza autonoma di pensiero e di azione dei
singoli utenti e di come la rete non giochi ancora un ruolo così
determinante come si tende a credere; dopodiché mi sono dedicato
all'aspetto ricoperto dalle notizie (più che sulle fonti) che
circolano in rete e di quanto il loro peso sia in realtà assai
leggero in merito alla facoltà di manipolare e/o sensibilizzare
l'opinione pubblica; perciò, una notizia diffusa in rete, se non
fosse ripresa da altri media (la tv in primis), rischierebbe di non
avere alcun tipo di risalto mediatico e verrebbe fruita solo da un
limitatissimo numero di utenti, ovvero gli stessi che hanno accesso
alla rete e che ne conoscono i meccanismi nonché gli stessi che
quelle notizie le hanno precedentemente diffuse.
In un futuro forse non
eccessivamente lontano questa rotta verrà senza dubbio invertita, ma
a due condizioni: i) investire sull'infrastruttura tecnologica per
consentire alla rete di assumere un ruolo preminente sugli altri
media, sostituire la televisione ed essere preferita come principale
mezzo e canale di informazione e ii) ridurre ed abbattere il divario
digitale, in modo da annullare le differenze sull'utilizzo dei nuovi
media, estenderne l'uso sino a creare così una stretta
interdipendenza fra vita reale e profili online, inducendo in tal
modo i cittadini a usufruire della rete per necessità. Quest'ultimo
aspetto, che sottolinea la futura complementarità fra vita reale e
identità digitale, nonostante possa suscitare in un primo momento
atmosfere fantascientifiche, diverrà probabilmente la normalità e
ciò sta a significare quanto la dimensione virtuale giocherà un
ruolo notevolmente più strategico di come invece ancora oggi viene
percepita. Pensare all'universo virtuale come la naturale deriva
culturale di un domani non è pura fantascienza ma diverrà l'unico
modo per interagire in maniera diretta e senza barriere con il web ed
i servizi ad esso correlati.
martedì 15 luglio 2014
Unti e bisunti - Recensione
Ormai da troppo tempo il panorama televisivo obnubila la mente e la ragione dei telespettatori propinando cateratte di programmi di cucina che affollano qualsivoglia rete televisiva. Ad ogni ora del giorno e della notte vengono messi in onda sedicenti cuochi sempre pronti ad elargire ricette a iosa oppure intenti a giudicare con copioso astio e cattiveria i piatti di poveri concorrenti aspiranti chef. Poteva ritenersi forse interessante lo show primigenio (“La prova del cuoco”) che per primo ha portato la cucina in tv, ma giunti alla millesima trasmissione culinaria l'interesse e la novità vanno a farsi friggere (appunto).
Purtuttavia,
sebbene programmi di siffatta non hanno ormai più nulla da
raccontare, gli ascolti parlano diversamente, segno che il pubblico è
letteralmente assuefatto da tali spettacoli culinari, anche se non
risulta molto chiaro se ciò che attira l'attenzione sia l'interesse
per le ricette dalle quali si potrà in seguito prendere spunto per
replicarle nella propria cucina o piuttosto la maestria ed il saper
fare degli chef, che dimostrano quanto sia semplice realizzare una
ricetta in realtà difficilissima. Sebbene non vi sia una chiara
risposta a ciò, restano comunque irrisolti alcuni atavici dilemmi:
tutti i piatti e le prelibatezze preparate nei programmi, poi, chi se
li mangia? Ma, soprattutto, le ubertose quantità di cibo acquistate
per le varie ricette, poi, vengono consumate tutte o ne rimangono? E
se ne rimangono, che fine fanno?
Ubbie
a parte, fra i tanti ed inutili programmi di cucina ve n'è
finalmente uno che se ne discosta radicalmente, sia per i toni e sia
per i contenuti. Trattasi di “Unti e bisunti” in onda su DMAX, il
canale televisivo per veri uomini. Condotto dal tatuato chef Rubio,
portatore sano di machismo, lo show si differenzia dai suoi omologhi
poiché viene girato on the road
per l'Italia, alla stregua di una docu-fiction, senza perciò
ricreare la finta convivialità degli studi televisivi ma presentando
invece personaggi spesso strampalati che non si capisce bene se ci
sono o se ci fanno e che in seguito lo chef deciderà se sfidare in
una gara di cucina incentrata sul piatto più calorico di tutti. Ma
la vera peculiarità è rappresentata dal tipo di cucina trattato,
ovvero lo street food,
il cibo da strada
reputato evidentemente non consono ai riflettori televisivi giacché
nessun programma ne ha mai fatto diretta menzione: lo chef Rubio,
invero, deve averci visto lungo poiché ha fatto di queste pietanze
dei veri e propri piatti, trattandoli così come devono essere
trattati poiché è sempre di cucina che si sta parlando.
Per cui,
con un linguaggio non convenzionale e volutamente rozzo (seppure mai
volgare) lo chef ci spiega i procedimenti delle ricette che,
trattandosi di DMAX, non possono che contenere ingredienti disgustosi
come viscere e interiora di animali oppure essere incredibilmente
untuosi e traboccanti di lardo: ed è così che, in un clima
goliardico e dal piglio dinamico, viene proposto allo spettatore un
modo di fare cucina letteralmente fuori dagli schemi poiché non
troviamo uno studio televisivo, non troviamo le solite ricette trite
e ritrite e, soprattutto, non dobbiamo sorbirci opinabili giudizi di
fantomatici giudici super esperti del palato e dato che l'ora
dell'occaso per programmi di tal guisa sembra ancora assai lontana,
si sentiva vivamente l'esigenza di un cambiamento, una variazione di
rotta che infrangesse la monotonia degli chef prestati alla
televisione e che si rivolgesse ad un pubblico ben diverso dal
solito, in tal caso un pubblico virile e dagli stomaci forti.
mercoledì 14 maggio 2014
Chiambretti Supermarket - Recensione
Come ammesso dallo stesso conduttore, Pierino la peste mancava dal piccolo schermo da quasi due anni e mezzo e perciò era fondamentalmente necessario ritornare in video per suggellare il proprio stato di buona salute e costituzione fisica. Ma probabilmente per questo si sarebbe rivelato più consono una visitina dal medico piuttosto che tediare gli spettatori con un programma insapore che non ha proprio nulla da raccontare, è privo di contenuti rilevanti oppure, detto altrimenti, i contenuti ci sono ma, trattandosi di un supermercato, possiamo dire che sono ampiamente scaduti.
Tutto
odora di già visto, tutto sembra riciclato dagli scarti di qualche
talent show, persino le risate e gli applausi sono farlocchi,
addirittura la scenografia “a cassettoni” procura un effetto déjà
vu sicché rimanda al compianto “Gioco dei 9” e pure il titolo
del programma rievoca il vecchio “Markette”, il
programma di telepromozioni culturali de La7.
Il conduttore si presenta come suo solito azzimato da gran galà,
sciorina spiegazioni alternate alle presentazioni del cast, arranca
nelle battute che si presentano fiacche non essendo sostenute dal
calore del pubblico in studio e l'atmosfera generale diviene via via
più sonnolenta.
Sembra
quasi non essere lo stesso Chiambretti di sempre e la sensazione è
proprio quella di uno show raffazzonato alla bell'e meglio, incapace
di veicolare contenuti originali o degni d'essere visti. Il ritmo
generale è ampiamente sottotono ed aleggia nello studio praticamente
vuoto una mestizia imperante, tragica. Dopo iperbolici prologhi e
antefatti vari finalmente lo show inscena il suo pezzo forte, il
motivo per il quale esso stesso è stato creato, ovvero persone
comuni che al loro lavoro normale affiancano una vita parallela un
po' pazzerella. Perciò, ci sono stati presentati gli
articoli/concorrenti, definiti saggiamente casi humani,
che si sono candidamente esibiti, si sono prezzati con tanto di
benestare del direttore dormiente del supermarket Cristiano
Malgioglio che ha profuso a tutti e tre gli stessi aggettivi ed
infine un bel “via alle telefonate” che fa tanto tv anni '90.
Orbene,
alla luce di ciò, dove risiederebbe l'originalità scatenante la
nascita dello show? La questione rivendicata dagli autori sarebbe
quella di essere i primi in tv a presentare gente che si (s)vende,
spacciando questo fatto come un'iperbolica peculiarità. Si tratta,
invero, di un astuto stratagemma poiché in tale meccanismo non vi è
affatto nulla che possa confermare la tanto declamata unicità dello
show: è davvero così unico e mai visto prima dare un prezzo
all'esibizione di un performer, tenendo conto che nessun individuo al
mondo è disposto a lavorare gratis? Perché è di questo che si sta
parlando, ovvero di dare un costo ad un'esibizione per poi venderla a
chi è interessato. Rivoluzione? Niente affatto.
Il
vero spettacolo lo si ravvede nell'affabile sagacia goliardica del
conduttore, il cui stile e sarcasmo sono finalmente venuti alla luce
dopo tre puntate, ovvero quando ormai il ritmo del programma si era
finalmente stabilizzato consentendo al pubblico di riconoscere il
Chiambretti di sempre. Resta comunque il fatto che il contenuto dello
show vacilla alquanto e l'impressione è che si è tentato di
rappresentare una sintesi
fra i precedenti programmi di successo del conduttore: da un lato
“Markette” per via della vendita di carne umana nel supermarket e
dall'altro il “Chiambretti Night” rintracciabile nel medesimo
modus operandi del conduttore e nei componenti del cast che donano
quel tocco metafisico al programma. In pratica si è realizzato un
simpatico gioco fra contenente e contenuto, una sorta di tentativo
metonimico con il quale, che si chiami “Chiambretti Night”, o
“Markette” o “Chiambretti Supermarket”, in realtà si sta
parlando della stessa cosa.
lunedì 17 marzo 2014
Giass - Recensione
È
esattamente questo il caso di “Giass”, ovvero “Great Italian
Association”, una sorta di esperimento esplorativo con il compito
di scoprire quale fantomatica macroregione
possiede i più significativi elementi d'italianità. Cosa poi sia
questa italianità non è dato sapere. Resta il fatto che suddividere
lo stivale in nord-centro-sud e riproporre per ciascuna macroregione
gli stessi avvizziti luoghi comuni e le stesse stantie rievocazioni
caricaturali altro non fa che permeare lo show di un non so che di
già visto e rivisto, trito e ritrito in mille modi ed in ogni dove.
Perciò, ritornando alla nostra seppur apparente puerile domanda,
perché dico io ri-ri-riproporre tutto questo concentrato di
aberranti idiozie che non fanno più ridere neanche i sassi? Perché
dare in pasto agli italiani un programma che sembra non avere alcun
altro obiettivo se non quello di causare indigestione al pubblico?
Ma, soprattutto, era davvero necessario tutto ciò? La risposta è
ovviamente un secco e deciso “no”, reso ancor più marcato dalla
presenza di vecchi comici ormai in malora, prodotti avariati da Zelig
o che provengono da quella discarica di comicità qual'è Colorado.
Battute volgari, a sfondo sessuale, a tratti omofobe, venate di
tristezza e lasciate crogiolare nell'ovvietà: i poveri comici – se
così li vogliamo chiamare – non strapperebbero mezzo sorriso al
pubblico in studio se non fosse per i diktat dell'assistente di
studio che impone le risate forzate, coadiuvate da fastidiosissime
risate registrate in sottofondo.
A
quale scellerato autore è balzata per la mente questa insensata idea
della riesumazione di comici non è dato sapere, ciò che più
interessa è che l'autore principale del programma è un tale Antonio
Ricci, perciò uno che di satira e di politicamente scorretto se ne
intende. Se fino a qui il programma altro non è che una pessima
fotocopia di altri ben più quotati, il tocco del “maestro” Ricci
si nota nell'anima del programma, nella brezza che permea le battute
dei conduttori Luca e Paolo, nell'intento volutamente maldestro di
cercare le virtù degli italiani per poi rifilare al pubblico le
peggior cose. Tutto ciò si capisce sin dalle tragiche categorie
utili a snocciolare le presunte eccellenze del nostro bel paese:
incontriamo così la categoria Grandissimi Froci
che ripercorre alcuni fra i più grandi geni italiani della storia,
subito cambiata da Luca in Gay Insigni,
a suo dire più appropriato; vi è poi la categoria Stronze,
che diviene subito Donne di Carattere per
volere di Luca, che individua alcune donne d'oggi appunto stronze; ci
imbattiamo quindi nella categoria Tengo (capo)famiglia,
probabilmente la più stuzzicante di tutte, giacché altro non è che
una carrellata di “figli e figlie di” che hanno fatto carriera
grazie al benestare dei propri famigliari; parla da se invece la
categoria Tettone che
piace tanto a Paolo ma che Luca decide di cambiare in Maggiorate;
altra categoria assolutamente scorretta è quella dei Cantautori
morti nella quale ci casca
dentro anche Memo Remigi (attualmente vivo); si finisce con uno
sguardo alle generazioni future, individuate nelle web series
rientranti nella categoria Saranno Sorrentini.
In
sostanza, questo programma gioca sporco, ci fa credere di andare alla
ricerca delle eccellenze italiche per poi rifilarci il meglio
del peggio: trattasi di
un'astuzia arguta che soltanto lo spettatore attento avrà potuto
cogliere anche se a giudicare dai modesti dati d'ascolto della prima
puntata (con lo share attorno all'11%) gli spettatori attenti sono
stati assai pochi. Dello show si apprezza perciò la vena
dissacrante, il politicamente scorretto, l'ironia che sfocia in
sarcasmo e poi in volgarità, così come si apprezzano la caricatura
grottesca della presidente – pardon, presidentessa- della Camera
Laura Boldrini oppure la ricerca di Luca e Paolo dei più brutti
monumenti contemporanei in giro per l'Italia. Il programma ha senza
dubbio necessità di un ampio periodo di rodaggio per poterne
apprezzare appieno la vera natura anche se, a giudicare
dall'abominevole quantità di parolacce, forse una collocazione in
seconda serata sarebbe stata più appropriata.
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