venerdì 19 dicembre 2014

Skylanders Trap Team ITA - Capitolo 11: Officina di Wilikin

giovedì 2 ottobre 2014

L'autonomia della rete tra informazione e partecipazione

Che la rete ed i servizi ad essa connessi giocano oggi un ruolo fondamentale nella nostra società è indiscusso e ben evidente, soprattutto se si guarda al peso rilevante rappresentato dai social network, sempre più investiti da forti valori identitari dai loro possessori e sempre più vicini a diventare la (quasi) perfetta trasposizione virtuale della vita reale.

Nel campo dell'informazione la rete diviene incredibilmente strategica per quanto concerne i fattori della tempestività e dell'immediatezza della notizia, permettendo così la circolazione di informazioni in tempi limitati o quasi immediati e, parimenti, riducendo considerevolmente (per non dire completamente) i tempi e i costi di pubblicazione: ciò ha giovato non solo alle testate giornalistiche online che hanno così allargato il pubblico di fruitori grazie alle versioni digitali dei giornali cartacei, ma ha favorito anche la nascita di nuove forme di comunicazione giornalistica o paragiornalistica, come i blog o le pagine Facebook di determinati gruppi o personaggi noti.

Questo allargamento del ruolo dell'informazione a modi di comunicazione non prettamente legati a giornalisti professionisti o a tecnici del settore ha contribuito non solo a rendere più libera ed immediata la fruizione delle informazioni ma ha concesso l'opportunità di rendere la rete un luogo più democratico, consentendo a qualsiasi utente di divenire egli stesso una fonte di diffusione delle notizie: è ciò che viene comunemente definito “autocomunicazione di massa”, cioè l'autonoma capacità di ogni singolo individuo di divenire un vettore di contenuti e di gestire a sua volta la stesura e la circolazione di notizie, avendo facoltà di scegliere sia il contenuto delle stesse e sia il pubblico cui rivolgersi.

Con l'evolversi del concetto, ampiamente discusso, di “web 2.0”, queste forme di autocomunicazione di massa si sono via via moltiplicate sino a consentire a tutti gli individui online di divenire allo stesso tempo canali e diffusori di informazione, dando così vita ad un intricato e complesso circuito di fonti, notizie, articoli, immagini, commenti e video pressoché illimitato.

Questo processo ricopre una funzione assai interessante per quanto riguarda le capacità di ricoprire un ruolo duale dagli utenti, ovvero da un lato fruitori e dall'altro lato produttori di notizie: appare interessante sia perché, ritornando al concetto di democrazia citato poc'anzi, consente una circolazione di notizie più efficace e quantitativamente maggiore, e sia perché si tratta di pratiche creative dal basso”, spesso spontanee, a volte imprecise o grezze, ma che in ogni caso permettono la produzione autonoma e individuale di contenuti specifici e di poterli veicolare verso un gruppo ristretto di amici o di cultori di un determinato settore.

Tale considerazione sul ruolo svolto dalla rete ci porterebbe all'analisi, piuttosto complessa e articolata, da un lato sul tipo di individui che fanno uso dei servizi della rete e dall'altro ci consentirebbe di osservare le ripercussioni sociali ed effettive che tale meccanismo scatena nella realtà, ovvero offline. Sicché il discorso diverrebbe eccessivamente lungo, ci è sufficiente qui solo menzionare che il profilo sociale degli utenti che tendono a ricoprire tale ruolo duale e a possedere le adeguate competenze tecniche per l'utilizzo della rete si attesta, dal punto di vista anagrafico, in un range di età che oscilla fra i 15 e i 29 anni ed è caratterizzato prevalentemente da un pubblico di uomini. L'aspetto anagrafico non ricopre invece particolare rilevanza per quanto concerne la sola fruizione delle informazioni o l'accesso alla rete. Purtuttavia, se anche la rete svolge un ruolo davvero positivo nella visione d'insieme sin qui delineata, sorgono delle problematiche che rendono questo processo alquanto fallace, almeno in relazione ad alcuni fattori decisivi che possono così essere brevemente riassunti:
  1. la rete, ancor prima di ricoprire un ruolo è essa stessa un luogo assai particolare: in essa sono assenti i tre elementi cardine sui quali si fonda qualsivoglia nozione di luogo, ovvero lo spazio, il tempo e, soprattutto, il contesto di riferimento. In assenza di quest'ultimo aspetto, ogni argomento discusso in rete si presta ad essere considerato “fuori contesto” poiché inserito in un non-luogo dove lo spazio-tempo è assente o appena abbozzato. Mentre nella realtà immanente i discorsi vengono scatenati da diverse situazioni contestuali, nella rete tale processo non è spontaneo e viene pianificato a tavolino, rendendo perciò effimero lo stesso ruolo ricoperto dalle informazioni in esso circolanti;
  2. secondariamente, l'aspetto chiamato “azione collettiva individualizzata” rende assai bene il ruolo ricoperto dai singoli utenti che, se è vero che fanno parte della massa dei fruitori e dei produttori, è altresì vero che ogni individuo vale per se ed ogni sua azione effettuata online può non avere una corrispondenza con una medesima azione offline. È questo il caso dei tanti movimenti o gruppi sociali nati in rete e principalmente legati alla sfera della politica, quasi tutti epigoni del gruppo di pressione americano MoveOn.org nato per promuovere una petizione online contro l'allora presidente Clinton e gli scandali politici ad esso legati; l'inefficacia dei social network la si riscontra in una notevole divergenza fra partecipazione online e offline: è il fenomeno noto col nome di “clicktivism” che evidenzia proprio una netta divergenza quantitativa fra il numero dei “mi piace” e il numero dei partecipanti alle proteste e/o agli incontri: è questo il caso lampante del Popolo Viola nato nel 2009 per richiedere le dimissioni di Berlusconi, oppure del ben più noto MoVimento 5 Stelle, dove, se in rete la partecipazione di iscritti ai gruppi, ai forum e alle discussioni era incredibilmente elevata, la medesima euforia non si è tradotta in termini di assenso e partecipazione ai gruppi ed agli incontri offline, che hanno invece registrato un'affluenza esigua rispetto alle aspettative;
  3. il più importante e rilevante problema ancora oggi presente nella rete riguarda la sua incapacità di essere indipendente dagli altri mezzi di comunicazione, i quali sono al contrario vitali per dare un senso al peso della rete: in altre parole, se ad una data notizia che circola in rete non viene dato risalto da un altro media che la riprende e la trasmette a sua volta ad altri media, essa rischierebbe di passare inosservata, compromettendo perciò il ruolo strategico che invece la rete intenderebbe rivendicare. Questo dimostra l'evidente sudditanza della rete dagli altri media, senza i quali essa non avrebbe risalto alcuno e tutte le nuove forme di comunicazione sopraccitate diverrebbero inutili poiché fini a se stesse o utili ad un limitatissimo gruppo di persone.
Queste ultime considerazioni ci portano a concludere quanto il divario digitale sia ancora molto forte nella società e di quanto lavoro vi è ancora da fare per allargare e diffondere l'utilizzo della rete e dei suoi servizi a tutti i cittadini; tale aspetto è avvalorato dal tipo di fruitori di internet che, come abbiamo visto, si presentano prevalentemente giovani e ritengono strategico l'utilizzo di nuove forme mediali di comunicazione solo perché tali strumenti rientrano nel loro bagaglio culturale e dai quali perciò non possono prescindere. La parte restante della popolazione guarda ai nuovi media con scetticismo, continuando a preferire come fonti utili di informazione i quotidiani cartacei e la televisione.

Un altro aspetto negativo della rete è l'eccessiva democrazia e libertà di opinione: nascosti dall'anonimato di un nickname molti autori si accollano la facoltà di sentenziare giudizi e commenti che talvolta ledono la dignità altrui e che, comprensibilmente, rischiano di danneggiare il ruolo stesso della rete che diviene così talmente democratica che al suo interno si possono trovare tante notizie buone ed attendibili quanto cattive o poco credibili. Perciò, il cittadino che consulta la rete deve intraprendere un lavoro di ricerca delle informazioni possibilmente attendibili ben maggiore rispetto a quello che deve compiere un utente televisivo che conosce gli orari esatti di messa in onda dei notiziari e che sceglie quelli a cui prestare più attenzione.

L'ennesimo aspetto negativo è legato alle capacità e conoscenze nell'uso dei nuovi media giacché diviene cruciale acquisire conoscenze pratiche e tecniche per confrontarsi con i nuovi dispositivi e le relative interfacce; tale aspetto rischia di divenire assai problematico per quell'ampia fascia di popolazione anziana o che comunque non dispone di nessun dispositivo per l'accesso alla rete.

In definitiva, il peso della rete oggi, come abbiamo avuto modo di vedere seppur sinteticamente, se da un lato è importante, dall'altro è ancora incapace di essere autosufficiente e deve perciò fare affidamento sull'appoggio di altri media, la tv in particolare, che riescono a dare risalto alle informazioni circolanti nel web.

Abbiamo quindi visto due brevissimi esempi che hanno dimostrano quanto sinora affermato: per prima cosa ho fatto menzione all'aspetto della partecipazione online in riferimento all'ambito politico e di come non vi sia un rapporto diretto e quantitativamente preciso fra attivismo online e offline, sintomo di una dipendenza autonoma di pensiero e di azione dei singoli utenti e di come la rete non giochi ancora un ruolo così determinante come si tende a credere; dopodiché mi sono dedicato all'aspetto ricoperto dalle notizie (più che sulle fonti) che circolano in rete e di quanto il loro peso sia in realtà assai leggero in merito alla facoltà di manipolare e/o sensibilizzare l'opinione pubblica; perciò, una notizia diffusa in rete, se non fosse ripresa da altri media (la tv in primis), rischierebbe di non avere alcun tipo di risalto mediatico e verrebbe fruita solo da un limitatissimo numero di utenti, ovvero gli stessi che hanno accesso alla rete e che ne conoscono i meccanismi nonché gli stessi che quelle notizie le hanno precedentemente diffuse.


In un futuro forse non eccessivamente lontano questa rotta verrà senza dubbio invertita, ma a due condizioni: i) investire sull'infrastruttura tecnologica per consentire alla rete di assumere un ruolo preminente sugli altri media, sostituire la televisione ed essere preferita come principale mezzo e canale di informazione e ii) ridurre ed abbattere il divario digitale, in modo da annullare le differenze sull'utilizzo dei nuovi media, estenderne l'uso sino a creare così una stretta interdipendenza fra vita reale e profili online, inducendo in tal modo i cittadini a usufruire della rete per necessità. Quest'ultimo aspetto, che sottolinea la futura complementarità fra vita reale e identità digitale, nonostante possa suscitare in un primo momento atmosfere fantascientifiche, diverrà probabilmente la normalità e ciò sta a significare quanto la dimensione virtuale giocherà un ruolo notevolmente più strategico di come invece ancora oggi viene percepita. Pensare all'universo virtuale come la naturale deriva culturale di un domani non è pura fantascienza ma diverrà l'unico modo per interagire in maniera diretta e senza barriere con il web ed i servizi ad esso correlati.

martedì 15 luglio 2014

Unti e bisunti - Recensione



Ormai da troppo tempo il panorama televisivo obnubila la mente e la ragione dei telespettatori propinando cateratte di programmi di cucina che affollano qualsivoglia rete televisiva. Ad ogni ora del giorno e della notte vengono messi in onda sedicenti cuochi sempre pronti ad elargire ricette a iosa oppure intenti a giudicare con copioso astio e cattiveria i piatti di poveri concorrenti aspiranti chef. Poteva ritenersi forse interessante lo show primigenio (“La prova del cuoco”) che per primo ha portato la cucina in tv, ma giunti alla millesima trasmissione culinaria l'interesse e la novità vanno a farsi friggere (appunto).

Purtuttavia, sebbene programmi di siffatta non hanno ormai più nulla da raccontare, gli ascolti parlano diversamente, segno che il pubblico è letteralmente assuefatto da tali spettacoli culinari, anche se non risulta molto chiaro se ciò che attira l'attenzione sia l'interesse per le ricette dalle quali si potrà in seguito prendere spunto per replicarle nella propria cucina o piuttosto la maestria ed il saper fare degli chef, che dimostrano quanto sia semplice realizzare una ricetta in realtà difficilissima. Sebbene non vi sia una chiara risposta a ciò, restano comunque irrisolti alcuni atavici dilemmi: tutti i piatti e le prelibatezze preparate nei programmi, poi, chi se li mangia? Ma, soprattutto, le ubertose quantità di cibo acquistate per le varie ricette, poi, vengono consumate tutte o ne rimangono? E se ne rimangono, che fine fanno?


Ubbie a parte, fra i tanti ed inutili programmi di cucina ve n'è finalmente uno che se ne discosta radicalmente, sia per i toni e sia per i contenuti. Trattasi di “Unti e bisunti” in onda su DMAX, il canale televisivo per veri uomini. Condotto dal tatuato chef Rubio, portatore sano di machismo, lo show si differenzia dai suoi omologhi poiché viene girato on the road per l'Italia, alla stregua di una docu-fiction, senza perciò ricreare la finta convivialità degli studi televisivi ma presentando invece personaggi spesso strampalati che non si capisce bene se ci sono o se ci fanno e che in seguito lo chef deciderà se sfidare in una gara di cucina incentrata sul piatto più calorico di tutti. Ma la vera peculiarità è rappresentata dal tipo di cucina trattato, ovvero lo street food, il cibo da strada reputato evidentemente non consono ai riflettori televisivi giacché nessun programma ne ha mai fatto diretta menzione: lo chef Rubio, invero, deve averci visto lungo poiché ha fatto di queste pietanze dei veri e propri piatti, trattandoli così come devono essere trattati poiché è sempre di cucina che si sta parlando. 

Per cui, con un linguaggio non convenzionale e volutamente rozzo (seppure mai volgare) lo chef ci spiega i procedimenti delle ricette che, trattandosi di DMAX, non possono che contenere ingredienti disgustosi come viscere e interiora di animali oppure essere incredibilmente untuosi e traboccanti di lardo: ed è così che, in un clima goliardico e dal piglio dinamico, viene proposto allo spettatore un modo di fare cucina letteralmente fuori dagli schemi poiché non troviamo uno studio televisivo, non troviamo le solite ricette trite e ritrite e, soprattutto, non dobbiamo sorbirci opinabili giudizi di fantomatici giudici super esperti del palato e dato che l'ora dell'occaso per programmi di tal guisa sembra ancora assai lontana, si sentiva vivamente l'esigenza di un cambiamento, una variazione di rotta che infrangesse la monotonia degli chef prestati alla televisione e che si rivolgesse ad un pubblico ben diverso dal solito, in tal caso un pubblico virile e dagli stomaci forti.

mercoledì 14 maggio 2014

Chiambretti Supermarket - Recensione



Come ammesso dallo stesso conduttore, Pierino la peste mancava dal piccolo schermo da quasi due anni e mezzo e perciò era fondamentalmente necessario ritornare in video per suggellare il proprio stato di buona salute e costituzione fisica. Ma probabilmente per questo si sarebbe rivelato più consono una visitina dal medico piuttosto che tediare gli spettatori con un programma insapore che non ha proprio nulla da raccontare, è privo di contenuti rilevanti oppure, detto altrimenti, i contenuti ci sono ma, trattandosi di un supermercato, possiamo dire che sono ampiamente scaduti.

Tutto odora di già visto, tutto sembra riciclato dagli scarti di qualche talent show, persino le risate e gli applausi sono farlocchi, addirittura la scenografia “a cassettoni” procura un effetto déjà vu sicché rimanda al compianto “Gioco dei 9” e pure il titolo del programma rievoca il vecchio “Markette”, il programma di telepromozioni culturali de La7. Il conduttore si presenta come suo solito azzimato da gran galà, sciorina spiegazioni alternate alle presentazioni del cast, arranca nelle battute che si presentano fiacche non essendo sostenute dal calore del pubblico in studio e l'atmosfera generale diviene via via più sonnolenta.

Sembra quasi non essere lo stesso Chiambretti di sempre e la sensazione è proprio quella di uno show raffazzonato alla bell'e meglio, incapace di veicolare contenuti originali o degni d'essere visti. Il ritmo generale è ampiamente sottotono ed aleggia nello studio praticamente vuoto una mestizia imperante, tragica. Dopo iperbolici prologhi e antefatti vari finalmente lo show inscena il suo pezzo forte, il motivo per il quale esso stesso è stato creato, ovvero persone comuni che al loro lavoro normale affiancano una vita parallela un po' pazzerella. Perciò, ci sono stati presentati gli articoli/concorrenti, definiti saggiamente casi humani, che si sono candidamente esibiti, si sono prezzati con tanto di benestare del direttore dormiente del supermarket Cristiano Malgioglio che ha profuso a tutti e tre gli stessi aggettivi ed infine un bel “via alle telefonate” che fa tanto tv anni '90.

Orbene, alla luce di ciò, dove risiederebbe l'originalità scatenante la nascita dello show? La questione rivendicata dagli autori sarebbe quella di essere i primi in tv a presentare gente che si (s)vende, spacciando questo fatto come un'iperbolica peculiarità. Si tratta, invero, di un astuto stratagemma poiché in tale meccanismo non vi è affatto nulla che possa confermare la tanto declamata unicità dello show: è davvero così unico e mai visto prima dare un prezzo all'esibizione di un performer, tenendo conto che nessun individuo al mondo è disposto a lavorare gratis? Perché è di questo che si sta parlando, ovvero di dare un costo ad un'esibizione per poi venderla a chi è interessato. Rivoluzione? Niente affatto.

Il vero spettacolo lo si ravvede nell'affabile sagacia goliardica del conduttore, il cui stile e sarcasmo sono finalmente venuti alla luce dopo tre puntate, ovvero quando ormai il ritmo del programma si era finalmente stabilizzato consentendo al pubblico di riconoscere il Chiambretti di sempre. Resta comunque il fatto che il contenuto dello show vacilla alquanto e l'impressione è che si è tentato di rappresentare una sintesi fra i precedenti programmi di successo del conduttore: da un lato “Markette” per via della vendita di carne umana nel supermarket e dall'altro il “Chiambretti Night” rintracciabile nel medesimo modus operandi del conduttore e nei componenti del cast che donano quel tocco metafisico al programma. In pratica si è realizzato un simpatico gioco fra contenente e contenuto, una sorta di tentativo metonimico con il quale, che si chiami “Chiambretti Night”, o “Markette” o “Chiambretti Supermarket”, in realtà si sta parlando della stessa cosa.

lunedì 17 marzo 2014

Giass - Recensione

Pare che a questo mondo tutto sia utile ma niente è indispensabile, e quando ci si riferisce al mondo dello spettacolo dell'indispensabile spesso non ve n'è traccia alcuna. Vero è che stabilire aprioristicamente ciò che è indispensabile da ciò che non lo è risulta impresa assai ardua ed al limite del sofisma, ma è altresì evidente che spesso questo compito viene assai facilitato da taluni programmi, dinnanzi ai quali sorge spontanea una domanda: “perché?”. Domanda banale a prima vista ma incredibilmente densa di significato. Viene davvero da chiedersi a volte cosa si annidi nelle menti degli autori che partoriscono siffatte idee, da dove carpiscano l'ispirazione (se mai ve ne sia parvenza) oppure da chi o cosa vengono influenzati per la stesura di un copione.

È esattamente questo il caso di “Giass”, ovvero “Great Italian Association”, una sorta di esperimento esplorativo con il compito di scoprire quale fantomatica macroregione possiede i più significativi elementi d'italianità. Cosa poi sia questa italianità non è dato sapere. Resta il fatto che suddividere lo stivale in nord-centro-sud e riproporre per ciascuna macroregione gli stessi avvizziti luoghi comuni e le stesse stantie rievocazioni caricaturali altro non fa che permeare lo show di un non so che di già visto e rivisto, trito e ritrito in mille modi ed in ogni dove. Perciò, ritornando alla nostra seppur apparente puerile domanda, perché dico io ri-ri-riproporre tutto questo concentrato di aberranti idiozie che non fanno più ridere neanche i sassi? Perché dare in pasto agli italiani un programma che sembra non avere alcun altro obiettivo se non quello di causare indigestione al pubblico? Ma, soprattutto, era davvero necessario tutto ciò? La risposta è ovviamente un secco e deciso “no”, reso ancor più marcato dalla presenza di vecchi comici ormai in malora, prodotti avariati da Zelig o che provengono da quella discarica di comicità qual'è Colorado. Battute volgari, a sfondo sessuale, a tratti omofobe, venate di tristezza e lasciate crogiolare nell'ovvietà: i poveri comici – se così li vogliamo chiamare – non strapperebbero mezzo sorriso al pubblico in studio se non fosse per i diktat dell'assistente di studio che impone le risate forzate, coadiuvate da fastidiosissime risate registrate in sottofondo.

A quale scellerato autore è balzata per la mente questa insensata idea della riesumazione di comici non è dato sapere, ciò che più interessa è che l'autore principale del programma è un tale Antonio Ricci, perciò uno che di satira e di politicamente scorretto se ne intende. Se fino a qui il programma altro non è che una pessima fotocopia di altri ben più quotati, il tocco del “maestro” Ricci si nota nell'anima del programma, nella brezza che permea le battute dei conduttori Luca e Paolo, nell'intento volutamente maldestro di cercare le virtù degli italiani per poi rifilare al pubblico le peggior cose. Tutto ciò si capisce sin dalle tragiche categorie utili a snocciolare le presunte eccellenze del nostro bel paese: incontriamo così la categoria Grandissimi Froci che ripercorre alcuni fra i più grandi geni italiani della storia, subito cambiata da Luca in Gay Insigni, a suo dire più appropriato; vi è poi la categoria Stronze, che diviene subito Donne di Carattere per volere di Luca, che individua alcune donne d'oggi appunto stronze; ci imbattiamo quindi nella categoria Tengo (capo)famiglia, probabilmente la più stuzzicante di tutte, giacché altro non è che una carrellata di “figli e figlie di” che hanno fatto carriera grazie al benestare dei propri famigliari; parla da se invece la categoria Tettone che piace tanto a Paolo ma che Luca decide di cambiare in Maggiorate; altra categoria assolutamente scorretta è quella dei Cantautori morti nella quale ci casca dentro anche Memo Remigi (attualmente vivo); si finisce con uno sguardo alle generazioni future, individuate nelle web series rientranti nella categoria Saranno Sorrentini.

In sostanza, questo programma gioca sporco, ci fa credere di andare alla ricerca delle eccellenze italiche per poi rifilarci il meglio del peggio: trattasi di un'astuzia arguta che soltanto lo spettatore attento avrà potuto cogliere anche se a giudicare dai modesti dati d'ascolto della prima puntata (con lo share attorno all'11%) gli spettatori attenti sono stati assai pochi. Dello show si apprezza perciò la vena dissacrante, il politicamente scorretto, l'ironia che sfocia in sarcasmo e poi in volgarità, così come si apprezzano la caricatura grottesca della presidente – pardon, presidentessa- della Camera Laura Boldrini oppure la ricerca di Luca e Paolo dei più brutti monumenti contemporanei in giro per l'Italia. Il programma ha senza dubbio necessità di un ampio periodo di rodaggio per poterne apprezzare appieno la vera natura anche se, a giudicare dall'abominevole quantità di parolacce, forse una collocazione in seconda serata sarebbe stata più appropriata.