martedì 15 novembre 2011

#ilpiùgrandespettacolodopoilweekend - Recensione



L'ultimo show di Fiorello si era attestato al lontano 2004 con “Stasera pagio io... Revolution” e da allora sono passati ben sette anni prima del nuovo avvento del fenomeno Fiorello in tv. Ebbene, il miracolo è avvenuto il 14 novembre in prima serata su Rai 1, la “rete di Don Matteo”. Parlo di miracolo poiché nella moria di programmi e show raffazzonati cancellati dopo due puntate, fra reality show abominevoli e varietà raccapriccianti, serviva davvero alla televisione italiana, quella pubblica a maggior ragione, una ventata d'aria fresca, sana, capace di dare nuova luce all'intrattenimento televisivo, in grado di fornire ai telespettatori un valido motivo per trascorrere la serata davanti alla tv, un motivo che non sia legato alle finte liti obbligate e scandali spiccioli in onda sulla rete concorrente. Il fenomeno Fiorello è portatore non solo di ottimi ascolti garantiti ma anche di un modo di fate spettacolo indubbiamente genuino, senza fronzoli, prevalentemente basato sull'improvvisazione, a mio avviso il miglior modo possibile di cui dispone un one man show per far ridere sinceramente gli spettatori. Di certo Fiorello non è una novità, né è una novità il suo modo di fare televisione, né è una novità il format televisivo anche se proprio quest'ultimo è stato ultimamente vittima di abusi e soprusi da parte di autori, conduttori e critica, i quali hanno fatto passare dei disdicevoli teatrini aberranti in programmi di varietà. Il varietà suggerisce proprio uno spettacolo in grande stile, nel quale c'è spazio per ogni forma di intrattenimento, coadiuvato da un'imponente scenografia e capitanato da una personalità capace di attirare su di se tutte le attenzioni possibili. Questo è il vero varietà e questo è il nuovo spettacolo di Fiorello, né più né meno. È spettacolo allo stato puro, godibile e mai eccessivo, leggero e frizzante, con l'unico intento di divertire, un'arte ormai in via di estinzione, anzi di mutamento, poiché oggigiorno si fa ridere solo se si ricade nel ridicolo con battute a sfondo sessuale o con parolacce o con i soliti luoghi comuni. Quindi, il miracolo Fiorello è riuscito a ridare alla televisione quel tipo di spettacolo davvero genuino, asciutto, senza il bisogno di ricorrere a futili espedienti per rincorrere gli ascolti.

Nonostante ciò, siccome nessuno è perfetto qualche perplessità è legittimata a fare capolino, qualche nota stonata è normale che venga alla luce. Prima di tutto bisogna sottolineare la sequela di battute di scarso profilo umoristico propinate dal conduttore ad inizio programma, battute che sono subito ed immancabilmente ricadute sugli avvenimenti politici attuali. Probabilmente era inevitabile un rimando all'attualità, soprattutto ora che il più grande capocomico/presidente del consiglio italiano della storia è uscito di scena con la conseguente disoccupazione di decine di comici, giornalisti, scrittori e quant'altro. Ma a parte qualche battuta stantia sulla plastica facciale della Santanchè, sulle bandiere, pardon bandane a mezz'asta di Arcore, sulle presunte pilloline blu nei cassetti della scrivania di Silvio che il bonario Mario Monti potrebbe trovare, sulla caduta libera dei capelli dell'ex premier, Fiorello si è poi lasciato andare a ciò che sa fare davvero bene, ovvero lasciando in disparte il (modesto) copione per dare spazio all'improvvisazione pura con la quale riesce davvero a dare il meglio di se, interagendo con il pubblico in sala e in particolare prendendo di mira il direttore di Rai 1 Mauro Mazza minacciando più volte di poterlo baciare in bocca così come aveva fatto in passato con Fabrizio Del Noce. Anche il maestro Enrico Cremonesi non è stato risparmiato dalle battute di Fiorello così come è stato tirato in ballo Marco Baldini con le sue disavventure nel mondo del cinema.

In definitiva, Fiorello ci sa fare, la rete si fida di lui e fa bene, è uno dei pochi professionisti della tv e dovremmo andarne tutti fieri. Probabilmente una cosa piuttosto eccessiva è stata la scelta delle canzoni per riempire i vuoti che si sarebbero venuti a creare fra una battuta e l'altra. Sappiamo che Fiorello sa fare a cantare, sappiamo che è bravo e sappiamo che gode nel dare prova delle sue dotazioni vocali, ma tutto questo nei limiti della sopportazione, senza rischiare di fare una canzone su tutto così come è stato fatto nella prima puntata dello show. Caro Fiore, sei bravo a cantare, ma limitati a qualche brano, datti una regolata, poniti un limite, che ne so, quattro canzoni a serata per esempio. Buona invece la scelta di puntare sulle cover dei brani, reinterpretati con stili musicali diversi dalle versioni originali. Nulla da dire invece sugli ospiti, Novak Đoković in verità non si è capito se ci fa o ci è e Giorgia invece è stata semplicemente magistrale, è stata al gioco ed ha interpretato a fine serata “Se telefonando” in versione anticata in bianco e nero dalla dubbia utilità; l'eunuco canterino Giuliano Sangiorgi ci ha invece deliziato con la sua grandiosa potenza vocale pregna di mascolinità.
Solo una nota sullo studio: ho come avuto l'impressione che la Rai abbia voluto a tutti i costi esagerare con la realizzazione di uno studio incredibilmente grande e del tutto eccessivo, esattamente come è stato fatto per lo studio del Grande Fratello, anch'esso sproporzionato rispetto alla reale utilità. In ogni caso, lodi lodi lodi allo studio e alla scenografia.

sabato 12 novembre 2011

Chiambretti Muzik Show - Recensione




Terminata inaspettatamente, seppur comprensibilmente, la buona esperienza del “Chiambretti Night”, il Pierino nazionale è ritornato venerdì 11 novembre alle 21.11 su Italia 11 con la puntata pilota del suo nuovo programma, il “Chiambretti Musik Show”, uno spettacolo dove la musica è la protagonista assoluta e incontestata. Già da questo aspetto si devono trarre alcune importanti considerazioni:
  1. La musica non piace a tutti, com'è noto c'è a chi piace solo ascoltarla con l'mp3 e chi preferisce guardarsi i relativi e del tutto superflui video musicali su altri supporti, quindi incentrare un intero programma solo ed esclusivamente sulla musica appare abbastanza eccessivo nonché rischioso;
  2. La musica possiede oggi molte piattaforme e canali di diffusione, la tv in questo è ormai obsoleta poiché ancor prima che in video, la musica è già reperibile in Rete e solo successivamente approda in televisione;
  3. C'è una rete televisiva che ha fatto la sua fortuna puntando esclusivamente sulla musica ed esiste in tutto il mondo da più di vent'anni: si tratta di Mtv.

Se prendiamo come buone o almeno come lecite queste considerazioni, è facile dedurre che un programma del genere non è una novità, è l'ultimo arrivato di una sequela di programmi omologhi di breve durata già apparsi anni or sono su più svariati canali televisivi, tematici e non. Dove sta quindi il motivo che ha spinto i vertici del biscione a puntare su un programma dall'identità incerta? Probabilmente due sono state le motivazioni, anzi due più una:
  • Italia 1 ha puntato sul personaggio Piero Chiambretti, portatore sano di simpatia ed euforia, nonché sapiente intrattenitore casalingo. La sua figura è ormai una (quasi) certezza di successo;
  • incentrare tutta la trasmissione sulla cantante Laura Pausini, donna dalla fama planetaria e dal successo incommensurabile, con al seguito milioni di fans;
  • infine, il programma è stato dichiaratamente voluto dal direttore di Italia 1. Punto.

Sorge a questo punto una chiara e banale riflessione: la Pausini la conoscono tutti, sia i fans che i non-fans, ed è un puro caso, nonché un'abile mossa strategica, che proprio venerdì 11 novembre uscisse il suo ultimo album a livello internazionale. Il programma ha così puntato tutto sul sicuro mettendo in scena un'artista celeberrima e tanto amata e facendo il verso sulla fortuita uscita del suo disco proprio il giorno della messa in onda dello show televisivo. Una mossa di marketing micidiale, non c'è che dire. Lo show ha così osannato la Pausini, l'ha riempita di complimenti, idolatrata all'ennesima potenza, lei stessa ho vomitato per tutta la trasmissione una sequela di ovvietà imbarazzanti (“a me piace cantare”, “che bella la musica”, “che figo il mio ragazzo/chitarrista”, “ammazza che tette che ho”, “quanto sono bravi i cantati americani”, “che bravo che è Pino Daniele”, “t'oh, Pino Daniele è aspite in studio”), è stato addirittura riesumato Pippo Baudo per rimembrare l'infausto giorno che valse la vittoria a Sanremo della giovine Laura, sono state chiamate le sue amiche del cuore (e ce n'era bisogno?) Alezzia Marcuzzi e Vittoria Belvedere per far soccombere nuovamente la Pausini sotto una montagna di elogi e di volemose bene. Non bastasse, per rimarcare ancor di più il fatto che quel giorno sarebbe uscito il suo nuovo disco per chi se ne fosse dimenticato, la Lauretta ha deliziato gli appassionati con ben 4 brani tratti dal disco, i primi tre cantati nelle prime due ore di trasmissione, il quarto invece fatto ascoltare verso un modesto orario, forse le 00.30 o giù di li. Del resto, chi non è ancora davanti alla tv a mezzanotte e mezza per ascoltare un brano già disponibile in Internet da 24 ore? Tutti no?!
A fare da cornice, del tutto superflua, alla trasmissione ci sono stati un utilissimo gruppo di fans che si ascoltavano il cd della beniamina in diretta, il “campione d'ascolto”, una brava Virginia Raffaele che ha interpretato la criminologa Roberta Bruzzone e l'onniscente Belen Rodriguez in modo magistrale e una Nora Mogalle e un non ben definito signore proprietario dello studio televisivo che se ne stavano in disparte a giocare a biliardo, completamente fuori contesto. In più vanno ricordati gli ospiti del Muzik Show, del tutto fortuiti: la Pausini afferma che la sua canzone preferita è “Quando” di Pino Daniele e Pino Daniele ci degna della sua presenza; viene detto che Giorgio Panariello è un grande fan della Laura e Giorgio Panariello sbuca nello studio. Il caso vuole che Panariello comincerà un suo spettacolo a gennaio su Canale 5 dove ci sarà anche la Pausini, ma questo è solo un mio tendenzioso dettaglio di poco conto.

Quindi, ritornando alla nostra riflessione iniziale, la trasmissione ha puntato tutto sulla Pausini, bella, brava e buona, incantando tutti i fans: e a chi la Pausini non piace che fa? Cambia canale. Così evidentemente hanno fatto molti telespettatori poiché lo show è stato un misero flop, raccattando appena 1 milione e mezzo di spettatori, pari a circa l'8% di share. È chiaro che questo show è stato un puro e ingenuo azzardo: puntare tutto su un solo ospite, realizzare una puntata monografica su di lui, seppur famoso, può accontentare tanti così come può scontentare altri, non vi sono vie di mezzo, oltretutto in prima serata, dove non sono ammessi scarsi risultati d'ascolto. Tutti coloro che non amano la Pausini non hanno guardato il programma, così come tutti coloro che non amano la musica o preferiscono solo ascoltarla e non vederla.
Il programma è così risultato una sesquipedale, elefantiaca, abominevole marchetta per la Pausini e il suo nuovo album, un'astuta mossa promozionale, una trasmissione-spot eccessivamente lunga, iniziata alle 21.10 e terminata alle 00.45, quindi con tutte le possibilità per annoiare il pubblico. Fans compresi.
A questo punto sorge il dubbio sull'effettiva partenza delle 8-10 puntate del programma a gennaio 2012 visti i risultati pessimi, ma bisogna altresì sottolineare che il programma potrebbe essere spostato in seconda serata, in quel caso un 8% di share potrebbe anche essere legittimo e il tempo per apportare migliorie al programma c'è tutto. Chi vivrà vedrà.

Porta a Porta - Recensione




Un noto programma di approfondimento e attualità è quello di Bruno Vespa, ormai dilagante e onnipresente da più di 10 anni nella seconda serata di Rai 1. Il pubblico del Vespa ha potuto notare una qualità decrescente dei contenuti del programma, il quale era nato come contenitore squisitamente politico per poi diventare una sottospecie di sala esposizioni dei politici più brillanti in carica, che guarda caso corrispondono con le più alte cariche dello Stato e incontrando, sempre casualmente, il consenso e la deferenza più plateale da parte del conduttore, il quale di rado ostacola o richiama all'ordine questi personaggi per dare spazio ad altri in studio. Questo carattere di prostrazione e zerbinismo di Porta a Porta nei riguardi dei potenti ha caratterizzato principalmente una fase di transizione del programma, una fase intermedia: in questo lasso temporale la “terza camera dello Stato” (come viene sovente ribattezzato il programma) è stato teatro di disdicevoli teatrini fra politici di diversi schieramenti che si sono spesso tramutati in violente risse verbali, in certi casi ricorrendo addirittura all'uso degli arti superiori, oppure in altre circostanze gli ospiti hanno deciso di abbandonare lo studio ritirandosi dal dibattito.

Sono tragicamente divenuti noti in questo programma due aspetti che io reputo inquietanti: il primo è quello dei famosi plastici utilizzati per meglio illustrare gli ambienti nei quali si sono verificati alcuni episodi di cronaca nera. Sul gesto e la volontà che stanno dietro a questa scelta non vi è nulla di male sicché l'intenzione è semplicemente quella di illustrare un luogo divenuto ben noto al paese intero e riprodotto in miniatura, con l'intento di mostrare e spiegare ai telespettatori come e dove i fatti si sono verificati. Questa intenzione diventa però preoccupante quando, sistematicamente, per ogni episodio di cronaca nera viene preparato e mostrato il relativo plastico, fra l'altro sempre più ricco di minuziosi particolari. Sembra quasi che la presenza del manufatto induca a considerare la tragicità dell'evento nello spettatore, il quale potrebbe addirittura immedesimarsi nei panni dell'assassino o della vittima e collocarsi all'interno di quella piccola realtà in miniatura. Appare evidente, se così fosse, l'intenzione di esaltare ancora di più il carattere di scandalo e sconcerto del misfatto, evidenziare l'efferatezza dell'omicidio, turbare gli spettatori mostrando loro gli ambienti e i luoghi della tragedia, come se effettivamente ve ne fosse un reale bisogno, appurato che i casi di cronaca nera, piaccia o non piaccia, sono i più seguiti e i più discussi dalle persone e ricoprono un carattere di importanza suprema capace addirittura di sovrastare ogni altra notizia, guadagnandosi le prime pagine dei giornali e ampi servizi sui telegiornali. Ma la presenza del plastico a Porta a Porta riveste anche un aspetto educativo e illustrativo, come se il pubblico non fosse capace di per se di immaginarsi l'ambiente di un delitto, come se non sapesse come agisce un assassino, come se non fosse in grado di rappresentarsi una casa. “Ecco, caro spettatore, io Bruno Vespa ti faccio vedere com'è fatta la casa dove si è svolto l'omicidio. Hai visto com'è fatta? Hai visto la camera da letto, il salotto, il bagno, i luoghi dove c'è stato l'assassinio? Guardali bene perché te li faccio vedere solo io, non è incredibile?”.

Il secondo aspetto curioso è relativo all'utilizzo della bacchetta da parte di Bruno Vespa per meglio illustrare dati e grafici sui monitor presenti in studio. Ora, considerato che non esiste programma televisivo che non abbia degli schermi di dimensioni spropositate in studio, tenuto conto che sono presenti anche in programmi di cui non ne hanno alcun bisogno, il Vespa nazionale ci tiene invece ad illustrate le cose con la bacchetta, come se i telespettatori da soli non fossero in grado capire o fossero impossibilitati alla vista, come se si fosse effettivamente a scuola: il maestro Vespa mostra agli alunni spettatori gli esercizi sulla lavagna, così gli alunni capiscono meglio e quelli che non ci arrivano da soli alzano la mano e chiedono di ripetere. Non vi è alcun effettivo bisogno della bacchetta, gli schermi sono sufficientemente grandi per vederci bene e capire con chiarezza ciò che viene mostrato, senza bisogno alcuno di un conduttore che faccia le veci del maestro.
Ordunque, questi due tragici particolari non possono che compromettere l'utile intenzione di divulgazione politica e di attualità del programma, riducendolo spesso ad una sorta di lezioncina succinta e precisina dove un conduttore/insegnante propina spiegazioni agli spettatori/alunni, rendendo meno il ruolo di approfondimento giornalistico cui aspira il programma. Nonostante ciò, bisogna riconoscere che questi aspetti possono senza dubbio risultare utili ad un gruppo sostenuto di telespettatori, anche se la maggioranza degli italiani, come si sa, non ha di certo bisogno di essere coadiuvata nella comprensione.
Oggi “Porta a Porta” sembra essere andata oltre questa fase intermedia, probabilmente Bruno Vespa si è reso conto che il pubblico che voleva educare si è forse acculturato un po' troppo riuscendo dunque a riconoscere un carattere di imparzialità nel programma. Per ovviare a ciò, Vespa sembra avere dato una piega diversa alla trasmissione: è opportuno notare quanto il numero di ospiti in studio sia notevolmente diminuito, arrivando a puntate con addirittura un solo ospite per fazione politica, o due al massimo; gli interventi degli ospiti sembrano essersi ridimensionati alle volontà del conduttore che cerca di dare uguale diritto di replica a tutti i presenti indipendentemente dal colore politico, arrivando persino a controbattere certe affermazioni o correggendo quanto da loro detto; il numero di plastici sembra essere diminuito, anche se questo aspetto è da mettere in relazione ai casi di cronaca nera che arrivano a ricoprire un ruolo di importanza nazionale. Infine, il programma continua ad essere intriso di grafici, di dati e di sondaggi, inducendo il recidivo Vespa a non rinunciare alla sua amata bacchetta.

Panoramica televisiva 2


Si è parlato in precedenza della tv di bassa qualità e della precarietà argomentativa di taluni programmi di intrattenimento che mettono in atto strategie di accanimento sensazionalistico al fine di ottenere più successo possibile. Bisogna a questo punto sottolineare quanto questo tipo di impostazione prevalga nella televisione privata piuttosto che in quella pubblica, ciò dovuto probabilmente a due fattori: per la televisione pubblica vale evidentemente il principio di un codice etico che evidenzia il carattere di servizio pubblico, quindi la facoltà di offrire al cittadino/utente un servizio di qualità senza correre il rischio di ricadere nella trappola del trash; per la televisione privata si sottolinea piuttosto il fattore economico, quanto gli investimenti di terze parti influiscono sulle capacità e possibilità di mettere in scena programmi tv dignitosi. Ma il fattore economico non è del tutto sufficiente a motivare la precarietà di questo genere di televisione poiché va tenuto conto del valore degli ascolti che, ancora di più che per la tv pubblica, sono fondamentali per la tenuta di uno show. Va da se che la qualità del prodotto privato è costantemente minacciata dalla maggiore volontà di guadagnare ascolti: in pratica, ci si concentra di più a colpire lo spettatore piuttosto che puntare sulla qualità offerta, principalmente perché questa strategia è più facile da mettere in atto e non necessita di facoltà o conoscenze particolari da parte dei telespettatori per la corretta comprensione dei programmi. Questo aspetto non è nient'altro che il carattere della televisione e di ogni tipo di prodotto di massa: più un prodotto è onnipresente e facilmente fruibile, meno capacità cognitive, psicologiche e culturali vengono richieste per la sua fruizione. È facilmente intuibile che, essendo la tv un apparecchio presente almeno in una unità in tutte le case degli italiani, essa sia per sua natura un medium di massa e perciò di bassa qualità nei contenuti. Nonostante ciò, possono benissimo esservi programmi di buona qualità anche all'interno di un mezzo come la tv, ciò è legato al valore dell'importanza e dell'affidabilità della fonte di cui si è parlato più sopra.
Risulta opportuno evidenziare quanto il carattere di bassa qualità dilaghi nella televisione privata, come detto prima, e quanto esso risulti di vitale importanza per queste aziende. Nel nostro contesto, vi sono in Italia tre principali aziende televisive ad offrire, rispettivamente, un servizio pubblico e due privati: Rai, Mediaset e Telecom Italia Media. Analizzerò nei successivi post profili di alcuni programmi che io reputo fra i più rappresentativi delle tre aziende, sia sotto il profilo della notorietà e sia sotto quello della qualità.

Panoramica televisiva 1


Un tempo, quando i libri erano vergati a mano e gli artisti (quelli veri) sgobbavano interi anni per completare opere d'arte immaginifiche correndo il rischio di non ricevere neppure uno straccio di ringraziamento qualora l'opera non incontrasse il gradimento del committente, era assai facile riconoscere ciò che era di qualità. (S)fortunatamente i mezzi di comunicazione di massa non solo hanno reso più arduo il riconoscimento delle opere di qualità, ma hanno messo anche in discussione il concetto stesso di arte e di conseguenza anche ciò che può avere valore o veicolare informazioni serie ed affidabili. La televisione, quale mezzo di comunicazione più rappresentativo della categoria, non è da meno. L'evoluzione dell'utilità televisiva è ben nota: da elettrodomestico casalingo avente una funzione didattica ed informativa, la tv è diventata un contenitore pittoresco di mero intrattenimento. Il fatto curioso, per non dire tragico, è che all'interno degli stessi programmi tv diviene sempre più difficile riconoscere l'informazione in quanto insieme di determinate notizie e distinguerle dalla non-informazione, ovvero tutto ciò che non è notizia. Ma, come ci insegna il principio base della comunicazione, è impossibile non comunicare e va da se che non esistono non-notizie. Allora si pone il dubbio su cosa sia più autorevole di un altro, o cosa sia più importante di un altro: in pratica, diviene fondamentale stabilire ciò che ha valore informativo e formativo e ciò che invece è solo rumore, ovvero nozioni che se anche trascurate non compromettono la nostra comprensione delle cose. Quindi, possiamo ridurre all'osso la questione distinguendo le notizie importanti dette da fonti che si reputano autorevoli dalle non-notizie, evidentemente diffuse da fonti che non hanno neppure la pretesa di essere minimamente credibili.

È chiaro che il profilo della televisione si è sempre più avvicinato a quello di intrattenitore casalingo e nessuno spero osa immaginare una tv fatta principalmente da notizie continue, ciò sarebbe ai limiti della sopportazione umana oltre che fonte di noia assoluta. Il telespettatore desidera soprattutto divertirsi, o per lo meno rilassarsi difronte alla tv, quindi è giusto che vi siano programmi adatti a tale scopo. Ma intrattenere non significa ricadere nel ridicolo, è solo sufficiente rendere piacevole o più leggero un programma per riuscire nell'intento. 
Ormai viviamo in una tv dove è difficile sia intrattenere che riconoscere le notizie importanti, ed è altresì complesso scindere in modo abbastanza preciso questi due aspetti poiché capita talvolta di essere protagonisti di programmi di informazione inseriti in programmi di intrattenimento: quale identità riconoscere al programma ed ai contenuti da esso veicolati? A mio avviso le cose non sono rese complesse solo da questo discutibile aspetto, quanto piuttosto da una maniera globale di fare televisione, una maniera che antepone lo scandalo alla qualità della messa in onda: se la premessa è l'effetto sensazionalistico il risultato atteso non può che essere di sconcerto nello spettatore. Decine di programmi sono sorti con questo intento, la maggior parte dei quali ormai cessati, ma lo tsunami di prodotti tv a breve durata ha finito col sopraffare quei pochi programmi di qualità rimasti, costringendo essi o ad un'inversione di rotta indirizzando i propri contenuti alle nuove aspettative del pubblico, oppure conducendoli ad un'inevitabile fine. Mi riferisco chiaramente alla formula del reality show e del suo primogenito talent show. Le due formule, erroneamente considerate distinte, sono in realtà uno il prodotto (o la conseguenza) dell'altro, quindi inscindibili. Questo format un tempo innovativo nonché novità assoluta, oggi è a dir poco ridondante e invasivo, i limiti connessi alla sua originalità sono ormai più che evidenti tant'è che se fino a poco tempo fa la tendenza di buona parte delle reti era quella di dotarsi di almeno un reality show a stagione, oggi questo primato è stato via via abbandonato da quasi tutte le emittenti. Il reality show è stato portatore di forme di intrattenimento di bassa qualità, infima in alcuni casi, propinando al pubblico una miscellanea di situazioni ridicole, in taluni casi addirittura tendenti alla volgarità, scene che ruotano attorno a rocambolesche e spesso fittizie storie d'amore costruite a tavolino al solo scopo di coadiuvare il gossip spicciolo fra i telespettatori, per non parlare di miserevoli teatrini sceneggiati da insulti perpetui, parolacce a vanvera e virtuosi giuochi lessicali abilmente censurati da immancabili e tempestive bippate, mai però sapientemente dosate affinché potessero coprire l'intera parola, bensì abbondantemente corti per meglio lasciar trapelare i rosei epiteti enunciati.
In ogni caso, il filo conduttore di questa tv sembra essere il litigio continuo, spesso e volentieri voluto e scatenato dai conduttori stessi i quali tendono sempre a lasciare libero sfogo alla rissa, intervenendo per una sua cessazione quando ormai è troppo tardi e il pubblico già si è fatto grasse risate. Ora però tutto questo sembra che si stia riducendo, i reality si stanno piano piano rintanando, le risse televisive sono sempre più contenute, lo scandalo sembra sempre più affievolirsi, la gente da casa è ormai satura di finti attori travestiti da concorrenti, di presunti flirt e inciuci pensati a regola d'arte, di eliminazioni inaspettate e di televoti manipolati, è stanca di vedere un unico programma con dieci titoli diversi e un unico filo conduttore, un'unica regia, un unico intento.

È chiaro che la televisione è un'azienda e in quanto tale essa può offrire prodotti o servizi i quali devono costantemente essere monitorati per capire se incontrano le aspettative preposte dall'azienda e i gusti del pubblico: in tv tali prodotti sono i programmi e il parametro che misura il successo o l'insuccesso è l'Auditel che misura le percentuali di ascolto. Chiaramente, se i dati Auditel non corrispondono al risultato che l'azienda si era preposta di raggiungere il programma sarà un insuccesso, nel caso contrario allora si parlerà di enorme trionfo. Tutto questo per dire che è naturale che vi sia concorrenza in tv ma non è affatto normale che questa debba a tutti i costi essere vinta dalla spregiudicatezza costante di taluni programmi tv che pur di intascarsi qualche punto di share sono disposti a mettere in scena dei pietosi siparietti grotteschi. Tale tipo di tv è piaciuto fino a un certo punto, ora sembra venuto il momento di abbandonare questo stile e dedicarsi ad una televisione non dico migliore o più giusta, ma almeno più sobria, con toni più bassi e possibilmente con conduttori che già di per se siano sinonimi di intrattenimento.

lunedì 30 maggio 2011

Analogia digitale (terrestre)

C'era una volta la televisione analogica, inizialmente piccola, con immagini in bianco e nero, sfocate, dai suoni ovattati. Poi arrivò il colore, le immagini in movimento acquisirono personalità, spessore, sostanza, migliorò la qualità delle immagini insieme a quella del suono, aumentò il numero dei canali televisivi offerti e di conseguenza si moltiplicarono gli show e i personaggi ad essi correlati. Le tv non erano tutte uguali ma bensì di tre tipi diversi: la televisione pubblica, la televisione commerciale e la televisione a pagamento.
La televisione pubblica rappresenta un servizio pubblico offerto da uno Stato, il quale detiene i diritti televisivi di quell'emittente la quale offre ai cittadini un certo grado di offerta televisiva rappresentata dal numero di canali proposti. Tali canali sono tutti a pagamento, ovvero per la loro fruizione è necessario pagare un abbonamento.
La televisione commerciale, o televisione privata, è una tv che appartiene ad un imprenditore privato, il quale decide di offrire il proprio servizio televisivo gratuitamente al pubblico. Il problema di questa tv è legato alla ricezione del segnale, essendo la tv finanziata da investimenti pubblicitari e privati la potenza delle apparecchiature tecniche e quindi la qualità del segnale sono legati proprio a questo fattore: più gli investimenti sono alti e più vi sono possibilità di investire denaro nel miglioramento della ricezione la quale potrà così espandersi andando a coprire aree un tempo escluse dal servizio.
La televisione a pagamento, o pay tv,  ingloba due tipi diversi di tv relativi alla differente ricezione del segnale: la televisione satellitare, la quale utilizza onde radio per diffondersi, e la televisione via cavo, la quale utilizza un cavo per telecomunicazioni. Anche questo tipo di tv risulta a pagamento ma a differenza della tv pubblica dove si ha un abbonamento onnicomprensivo di tutti i canali offerti, la pay tv offre pagamenti "a pacchetto", ovvero lascia libera scelta allo spettatore di poter decidere quali canali visionare e per quanto tempo desidera. Al termine del periodo stabilito lo spettatore può decidere di rinnovare l'abbonamento oppure può cambiare numero di canali e la durata dell'abbonamento stesso.
Poi un bel giorno ci si è resi conto che la tv analogica non andava più bene, la pay tv e le tv private, anche a carattere regionale o provinciale, rappresentavano un'alternativa molto forte e la loro sempre maggiore diffusione rischiava di mettere in ombra il servizio pubblico televisivo. In particolare la pay tv ha sempre destato non poche preoccupazioni alla tv pubblica ma anche a quella privata, avendo la capacità di offrire al pubblico un'enorme vastità di canali televisivi tematici ed ogni sorta di show. La qualità e potenza del segnale analogico inoltre non garantiva altre prospettive di miglioramento, quindi l'alternativa più conveniente e sicura per un perfezionamento complessivo del servizio televisivo era rappresentato dalla conversione del segnale analogico in segnale digitale.
La tv digitale si è fatta sempre più rilevante sino a quando la stragrande maggioranza dei governi ha optato per un obbligo tassativo di conversione di tutti i segnali analogici in segnali digitali. I vantaggi derivati dalla digitalizzazione del segnale televisivo sono in verità assai ridotti ma quelli che hanno di certo più risalto sono un effettivo potenziamento della qualità audio/video, un incremento notevole dell'interattività ed un ampliamento dell'offerta televisiva rappresentata da un maggiore numero di canali televisivi. Tirando le somme, al pubblico televisivo, sia che si tratti di pubblico pagante (tv pubblica/pay tv) o di pubblico spontaneo (tv privata) il miglioramento delle immagini e dell'audio risulta essere un fattore del tutto marginale sicché la scarsa qualità delle immagini analogiche era spesso legata al tipo di apparecchio televisivo in uso: più l'apparecchio era vetusto, più l'immagine ricevuta era assai scarsa. Per ovviare questo problema era sufficiente acquistare un apparecchio televisivo nuovo e tale aspetto poco ha a che vedere con la digitalizzazione del segnale. Per quanto riguarda invece l'interattività, la tv analogica già offriva due sistemi ritenuti interattivi: il teletext e il televoto. Il servizio di teletext è offerto da ogni rete televisiva ed offre agli spettatori la possibilità di visionare ogni tipo di informazione relativa ad una determinata rete tramite delle "pagine" realizzate con una grafica estremamente sobria e rudimentale nelle quali l'utente si può spostare, scegliendo le informazioni che più gli interessano e cambiando pagine tramite l'uso del telecomando. Il televoto è invece un servizio più recente e riguarda l'interazione diretta del pubblico con un programma televisivo, il quale può decidere da casa le sorti di quel programma, l'evolversi delle vicende e la partecipazione di personaggi. Il televoto offre quindi al pubblico da casa una partecipazione a tutti gli effetti al programma e rappresenta anche una forma indiretta di assuefazione televisiva, ovvero tale stratagemma, costringendo il pubblico a partecipare ad un programma, lo induce per forza di cose a verificare le conseguenze delle sue decisioni, vincolando il pubblico alla visione dello show.
Tali servizi possono a tutti gli effetti essere considerati interattivi, quindi la tv digitale non offre niente di diverso da ciò che la tv analogica già garantiva. L'interattività maggiore proposta dalla tv digitale è solo un'amplificazione dell'interattività analogica, riguardante per la maggior parte dei casi il teletext, il quale è decisamente migliorato nella grafica ed offre un numero sempre maggiore di informazioni.
La vera novità effettiva è data quindi da una vasta gamma di reti televisive trasmesse in chiaro dalla tv digitale. Vale la pena, a questo punto, fare una piccola distinzione tecnica: la digitalizzazione della tv analogica in chiaro viene definita "terrestre" poiché i nuovi canali offerti sono totalmente gratuiti e visionabili senza alcuna forma di abbonamento. I servizi della pay tv, anche se digitali, continuano ad essere trasmessi solo su piattaforme appropriate e visionabili solo tramite un abbonamento. Ecco allora che il pubblico della tv analogica riconvertita in tv digitale si ritrova la possibilità di visionare un maggiore numero di canali televisivi un tempo concessi solo su alcune piattaforme della pay tv.
Se da un lato aumenta l'offerta del numero delle nuove reti digitali, dall'altro si evidenzia sempre più il valore dei presunti vantaggi derivati da questa offerta televisiva. I tanto declamati nuovi canali non sono niente altro che contenitori di programmi replicati su altre reti, ritrasmettono in sostanza contenuti televisivi già apparsi su altri canali e solo in alcuni sporadici casi si possono visionare programmi del tutto nuovi. Ecco allora che la differenza fra tv digitale terrestre e pay tv rimane sempre la stessa, costante: il pubblico pagante potrà visionare programmi mai visti prima solo grazie l'abbonamento, mentre il pubblico non pagante potrà visionare quegli stessi programmi in un secondo momento su un canale digitale che li spaccia come contenuti "nuovi", quando di nuovo c'è solamente il nome della rete digitale.
Abbiamo a che fare quindi con un discreto miglioramento delle qualità tecniche del servizio da un lato, ma al contempo abbiamo un'offerta televisiva variegata anche se qualitativamente bassa dall'altro. La grande quantità di nuovi canali non è niente altro che una ripetizione ad oltranza di programmi già apparsi su altre reti e riproposti in chiave digitale terrestre e oltretutto le ore complessive giornaliere di messa in onda non raggiungono quasi mai le 24 ore come invece accade per  le tv pubbliche, le tv private in alcuni casi e le pay tv. La messa in onda è spesso inferiore alle 24 ore e trattandosi per la maggior parte di programmi trasmessi in replica, per coprire le ore di messa in onda giornaliere uno stesso programma può essere replicato anche più di una volta, abbassando notevolmente la qualità dell'offerta televisiva.
Un lato positivo in tutto questo lo si ritrova nella possibilità da parte del pubblico non abbonato alla pay tv di visionare programmi sui nuovi canali digitali altrimenti non accessibili.

Vale la pena a questo punto inquadrare la situazione con alcuni esempi esaurienti, partendo dai nuovi canali in digitale offerti dalla tv pubblica italiana.
La Rai ha introdotto con l'avvento del digitale terrestre una decina di nuovi canali anche se noi ne prenderemo in esame solo alcuni. Cominciamo da Rai 4, canale gratuito trasmesso solo sul digitale terrestre. Il canale si presenta come semigeneralista, ovvero non è propriamente tematico ma possiede un mood attorno al quale si sviluppa l'intera programmazione, la quale può anche divergere da esso. Il canale trasmette solamente serie televisive, film tv, cartoni animati e film cult. La stragrande maggioranza di tutti questi programmi sono composti da repliche, ovvero intere serie tv e cartoni animati vengono ritrasmesse dalla prima serie in avanti. La particolarità di questa programmazione risiede nel fatto che tutti gli episodi di ogni serie tv sono trasmessi senza tagli o censure, a differenza invece di ciò che accadeva per la prima messa in onda delle serie tv nei precedenti canali analogici. Un altro aspetto da non sottovalutare è la messa in onda gratuita per la prima volta di programmi trasmessi precedentemente solo sulla pay tv. Vi è anche una forte ed eccessiva presenza di stacchi pubblicitari ma questo è un aspetto fondamentale dato che in assenza delle inserzioni pubblicitarie questi canali non riuscirebbero a sostentarsi autonomamente. Programmi che esulano dall'anima della rete sono principalmente incentrati sul mondo di internet e delle nuove tecnologie.
Sulla stessa scia è nato Rai 5 il quale sostituisce l'ex Rai Extra. La rete si presenta come tematica, trasmette quindi programmi incentrati solamente sulla cultura e sullo spettacolo e, sporadicamente, anche documentari. Anche questo canale trasmette solamente repliche di contenuti già trasmessi su altre reti o li trasmette per la prima volta in chiaro. I temi principali sono la musica, l'arte, i film d'autore e le opere teatrali, tutti programmi che difficilmente trovano spazio nelle reti tradizionali.
Un altro canale digitale è Rai Premium il quale si presenta come tematico e trasmette soltanto repliche di fiction prodotte dalla Rai. Rai Movie invece, altro canale tematico, trasmette solo cinema d'autore, principalmente italiano, ovvero film che difficilmente trovano collocazione su reti generaliste. Sporadicamente Rai Movie trasmette anche film d'autore in anteprima ed ampio spazio è dedicato ai principali festival cinematografici nazionali e internazionali.
Sul fronte della tv privata, Mediaset offre quattro nuovi canali in digitale terrestre, primo fra tutti La5, canale semigeneralista rivolto esclusivamente ad un pubblico femminile di tutte le età. La rete trasmette fiction, reality show e cartoni animati in replica insieme a qualche produzione originale in esclusiva per la rete. Tali produzioni, a basso costo, replicano frammenti di programmi Mediaset già messi in onda o presentano alcuni programmi in modo insolito, come i dietro le quinte e i backstage.
Altro canale importante è Boing, rete tematica rivolta esclusivamente ad un pubblico di bambini e ragazzi. Trasmette solo cartoni animati e qualche serie tv in esclusiva gratuita.
La programmazione di Iris è invece tematica ed è incentrata sulla trasmissione di cinema d'autore, opere teatrali e film di serie B oltre a film cult e qualche serie televisiva.
Infine, Mediaset Extra trasmette programmi presenti e passati delle tre reti Mediaset Canale 5, Rete 4 e Italia 1.
Telecom Italia Media offre invece La 7d, una rete semigeneralista che trasmette ogni sorta di programma dedicato principalmente ad un pubblico femminile ma non solo, proponendo repliche della normale programmazione di La 7 insieme a piccole produzioni in esclusiva. Dello stesso editore fa parte anche  MTV Music che trasmette repliche della normale programmazione di MTV.
Forse l'unica vera novità è rappresentata dal canale Cielo, che trasmette sia in digitale terrestre che in pay tv sulla piattaforma Sky. Il canale è semigeneralista ed offre una vasta gamma di programmi, spaziando dalle serie tv ai talk show, dai quiz ai documentari. E' inoltre una delle poche reti digitali a dedicare ampio spazio all'informazione con diverse edizioni giornaliere di un telegiornale. Essendo la rete edita dalla società News Corporation, la stessa di Sky, la stragrande maggioranza dei programmi di Cielo sono una replica dei programmi già trasmessi da Sky, ma visibili in chiaro e gratuitamente. Le ore di messa in onda complessive sono soltanto 20.
Altra novità è rappresentata dal canale tematico Real Time, edito dal gruppo Discovery. Trasmette sia in pay tv sia in digitale terrestre ed ha una programmazione incentrata sul lifestyle, proponendo programmi su moda, cucina, alimentazione, arredamento e fai da te. La rete trasmette ad oltranza più repliche in un giorno dello stesso programma e non dedica alcuno spazio all'informazione.
Altri canali rilevanti del digitale terrestre sono rappresentati da K2 e da Frisbee, canali tematici rivolti ai bambini e agli adolescenti, oppure i numerosi canali dedicati al mondo della musica come Deejay Tv, RTL 102.5 Tv, Virgin Radio Tv o Play.me

Complessivamente, ciò che caratterizza questi canali è la sempre maggiore centralità degli argomenti attorno ai quali si sviluppano interi palinsesti di reti e questo aspetto da un lato è estremamente conveniente ed interessante per chi nutre una passione che un certo canale mette in video, mentre dall'altro lato è un aspetto negativo sicché coloro che non hanno lo stesso interesse non guarderanno mai i programmi di quella rete: si ha quindi a che fare con un fenomeno di esclusione diretta per tutte le reti ritenute tematiche i cui spettatori non reputano interessante la programmazione offerta. Il caso contrario è l'inclusione diretta, ovvero quando l'argomento di un programma (o diversi argomenti di diversi tipi di programmi) interessano e coinvolgono il pubblico convincendolo così ad assistere allo show. Avviene invece il fenomeno dell'esclusione indiretta sempre per le reti tematiche, in particolare quando un argomento entra talmente nel dettaglio da ritenerlo addirittura prolisso o talvolta noioso anche per gli spettatori più interessati. Per esempio, può essere interessante guardare un documentario sulla storia del teatro proposto da una rete tematica (inclusione diretta), mentre assistere ad un'intera opera teatrale, senza interruzioni pubblicitarie, può risultare davvero noioso (esclusione indiretta); oppure, può essere curioso assistere ad un documentario sull'addestramento dei cani, può risultare invece fin troppo noioso un documentario dettagliato sulla storia degli studi sulla psicologia e sul comportamento dei cani o degli animali in genere. Anche con questi programmi si incorre nel rischio di escludere indirettamente una fascia di pubblico che ipoteticamente poteva essere interessata al programma. Per le reti generaliste e semigeneraliste il discorso è di più ampio respiro e si è di fronte ad un fenomeno di inclusione indiretta: benché la rete affronta temi che esulano dal mood centrale della programmazione, vi sono buone possibilità di catturare l'attenzione degli spettatori non avvezzi alla rete. Questo discorso va ampliato anche per le reti generaliste che abbracciano un ampio numero di programmi, spesso molto variegati, e le probabilità di guadagnare più fasce di pubblico sono maggiori.

Siamo quindi sempre più di fronte ad una prolificazione di canali tematici o semigeneralisti che affrontano un tema o un numero molto ristretto di temi attorno ai quali costruire la programmazione e ciò accade solo per le reti digitali terrestri: il discorso si amplifica ancora di più per quanto concerne le pay tv che offrono davvero ogni sorta di rete tematica possibile: intere reti dedicate alla cucina, alla moda, al cinema, allo sport, allo spettacolo ecc. Se da un lato prolificano reti in digitale terreste, dall'altro lato si ha un impoverimento dell'informazione con una presenza insufficiente e talvolta del tutto assente di telegiornali e di un impoverimento della fantasia dei programmi, in particolare per i contenuti (programmi in replica o che riciclano frammenti di programmi passati) e per la scarsa elaborazione dei titoli degli stessi: un programma dal nome "Sei più bravo di un ragazzino di 5^?" lascia poco all'immaginazione ed è più che evidente la sua natura da quiz, anche se non si assiste allo show; oppure, un programma dal titolo "Cerco casa...disperatamente" oppure "Chirurgia plastica XXL" o ancora "Italia's Next Top Model" o "Cortesie per gli ospiti", "Grassi contro magri", "Matrimonio all'italiana", "Cambio vita...Mi sposo!" e, per finire, "Vuoi ballare con me?" sono tutti titoli di scarsa fantasia che non lasciano neppure immaginare nulla sul tipo di contenuto tanto sono espliciti ed esaurienti di per loro.

Il futuro televisivo che si prospetta appare alquanto frammentato in tanti tasselli tanti quanti sono i nuovi canali digitali, sottolineando anche il fatto che l'apertura di un nuovo canale che trasmette prevalentemente repliche ha dei costi relativamente bassi, soprattutto quando la rete in questione mette in onda repliche di show appartenenti alla propria azienda: in questo caso il riciclo è a costo zero sicché non è necessario pagare diritti d'autore o diritti d'importazione. Appare sempre più evidente l'analogia perpetrata dai canali digitali tematici con la realtà fisica, addirittura con le abitudini di singoli gruppi di persone. Canali tematici sul lifestyle o sulla cucina o sulla moda non rivestono quasi per nulla un ruolo di spettacolarizzazione, vi è poco di spettacolo, non c'è nulla di artificioso, di pianificato in un programma sul fai da te oppure in uno sulla compravendita di una casa. Il parziale annichilimento del valore dello spettacolo avvicina queste reti sempre più alla realtà fisica piuttosto che all'artificio televisivo puro e questo è probabilmente l'aspetto vincente di questi canali: il pubblico viene talmente coinvolto da sentirsi parte del programma, è consapevole di poter condividere i contenuti dello show anche al di fuori dello schermo e questo particolare differisce notevolmente dagli show delle reti digitali generaliste sicché imitare un reality show dal vivo o un quiz risulta davvero improponibile.
Vi è allora un arricchimento culturale in campo televisivo e questo arricchimento è dovuto da una parte ad una proposta televisiva più ampia basata su nuovi contenuti di qualità e dall'altra da un avvicinamento sempre maggiore del pubblico, il quale si sente molto simile ai programmi di una rete proprio perché ne condivide i temi e gli argomenti. Ma a discapito di tutto ciò vi è anche una proliferazione dei contenuti pubblicitari che sono il vero motore di queste nuove reti digitali, le quali senza gli investimenti pubblicitari, e senza ascolti, non sarebbero capaci di sopravvivere autonomamente. I bassi budget che queste reti hanno a disposizione non consentono loro di dare vita ad enormi megaproduzioni televisive, ma piuttosto a brevi programmi tematici di breve durata, spezzo intervallati da più spazi pubblicitari e considerato che per la stragrande maggioranza dei casi queste reti trasmettono repliche una volta esaurite le puntate di un nuovo programma, riuscire a trovare contenuti stimolanti risulta essere alquanto difficile.
In definitiva, questa è la vera novità introdotta dal digitale terrestre, non un mirabolante miglioramento della qualità tecnica dei servizi offerti quanto piuttosto un perfezionamento dell'offerta televisiva, sempre più indirizzata ad un pubblico ben preciso, sempre meno generalista e sempre più tematica, sempre più vicina alla realtà degli spettatori e sempre più lontana dall'essere televisione.

martedì 3 maggio 2011

uMan Take Control! - Recensione



Il sottoscritto non è un amante della televisione in generale e tanto meno dei reality, la forma probabilmente più subdola di intrattenimento dopo la pubblicità. In fondo i reality sono proprio questo, delle grandi campagne pubblicitarie che inducono (e talvolta costringono) lo spettatore a seguire il programma promettendogli chissà quali rivelazioni, scoop o colpi di scena. Il fatto curioso è che, nonostante lo spettatore sa perfettamente che non avverrà tutto ciò e se avverrà non sarà nulla di spontaneo ma di già pianificato, il pubblico continua ugualmente ad assistere a questi spettacoli di bassa qualità, nei quali la cultura va a farsi benedire, dove l'informazione è stata legata e imbavagliata, dove l'intrattenimento puro è stato narcotizzato e gettato in un pozzo senza fondo, una voragine macabra e grottesca come le pance degli italiani, menti apparentemente vuote pronte a criticare tutto ciò che le circonda ma subitamente celeri a farsi coccolare e comandare dalla prima cosa bella che gli capita sotto il naso. I reality show non sono impegnativi, non esigono conoscenze particolari da parte degli spettatori, non sono rivolte ad un pubblico medio/alto, non possiedono contenuti di alto valore culturale, sono quindi alla portata di tutti, il fascino dell'inutilità del reality colpisce e affascina qualsiasi tipo di spettatore, dal plurilaureato che assiste ad un grottesco giochino televisivo chiedendosi cosa lo spinge ad assistere a quelle scene, alla casalingua disperata che ritrova nella televisione argomenti ed interessi d'uso quotidiano utili per interagire e relazionarsi con amiche e comari varie. Insomma, il reality show non può non piacere, DEVE piacere, è un susseguirsi senza senso di situazione surreali, al limite della decenza, dello scandalo, oltre i limiti del pudore e della vergogna, produce risa, stupore, interesse, curiosità, ira, malumore, coinvolge il pubblico sentimentalmente e gli concede il diritto di vita o di morte sui concorrenti. Ed è proprio questo il punto di forza del reality, ovvero la decisione suprema del pubblico che tramite il televoto è chiamato a decidere le sorti di tutti i concorrenti; è questo il traino del gioco, la matrice che per la maggiore induce il pubblico a seguire lo show, proprio perché esso ha il potere decisionale su tutti, decide chi deve restare e chi invece deve andarsene, decide il vincitore e gli sconfitti. Il televoto è un'arma formidabile, è un'arguta genialata che subdolamente costringe il pubblico a seguire lo show, perché il televoto verrà aperto solo in determinati momenti del programma senza sapere quali e nel frattempo partono un'infinità di stacchi pubblicitari, utili all'azienda tv, noiosi per i telespettatori i quali talvolta se li guardano ugualmente pur di non perdersi un solo istante di gioco. 

Fin qui è il reality così come l'abbiamo sempre visto, è la formula classica che ci è stata proposta da sempre. Cosa cambia quindi nel presunto nuovo reality show, definito estremo dai conduttori stessi? Ebbene, uMan Take Control! non ha nulla di estremo, non presenta particolarità rilevanti rispetto alle decine di programmi che l'hanno preceduto, esistono i concorrenti, esistono le prove, esistono le dirette, esiste il televoto. La sola cosa che cambia davvero è lo spirito del gioco, lo spirito col quale il programma è stato pensato e sviluppato ma che purtroppo non è stato poi portato a termine come avrebbe dovuto. Lo show, definito esperimento, presenta 8 cavie chiamate omini, i quali sono tutti ex concorrenti di reality i quali sono stati contaminati dal mondo dello spettacolo e dalla televisione compromettendo così le loro identità da "umani". Lo scopo del gioco risiede proprio nel ridare personalità agli omini, ovvero di "riumanizzarli" per ricondurli nella realtà, e qui il programma già inciampa su se stesso sicché salta palesemente all'occhio l'evidente controsenso per il quale un ex concorrente da reality per riacquisire personalità debba partecipare ad un altro reality. Un paradosso assurdo. 

Nel corso del programma gli omini devono affrontare delle prove le quali, se superate, doneranno a ciascuno un certo punteggio e i due omini che riceveranno il punteggio più basso rischieranno l'eliminazione a fine puntata. Gli omini risiederanno per il resto del tempo all'interno di un candido laboratorio bianco, asettico, privo di oggetti d'arredo o d'utilità, i quali verranno col tempo forniti agli omini in cambio di punti vita che verranno scalati dal loro punteggio totale. Tutto questo lo decide il pubblico, utilizzando il fatidico televoto per scegliere gli omini da usare nelle prove, e votando sul sito internet gli oggetti da fornire agli omini. Questa è già una prima curiosa particolarità da non-reality, ovvero si chiede al pubblico di interagire in due modi distinti per decidere due scelte diverse. E' altresì curioso il fatto che ogni omino è costretto ad indossare una tutina di colore diverso, in modo da spogliarli delle loro personalità contaminate e di renderli anonimi, quasi indistinguibili se non fosse proprio per quelle tutine colorate. Questo particolare suona un po' come una presa in giro, come uno sfottò da parte degli autori che si sono palesemente divertiti a ridicolizzare personaggi che già di loro non brillavano certo di carisma e astuzia, addobbandoli come degli enormi teletubbies e inserendoli in un finto contesto riabilitativo completamente inutile. 

L'aspetto probabilmente più curioso di tutto lo show è il metodo dell'eliminazione dei concorrenti, il quale non è stato capito prima di tutto dai presentatori Forest/Brescia e secondariamente neppure dai telespettatori. L'obiettivo del gioco, come si è detto, è quello di riumanizzare gli omini, ovvero di "curare" coloro che più versano in un evidente stato di degrado psico-televisivo. A rigor di logica quindi, i concorrenti da eliminare non sono quelli meno simpatici ma bensì quelli che hanno meno bisogno delle cure del programma, quelli che si ritengono essere guariti dalla sindrome da reality. Ovvero, il meccanismo dell'eliminazione è inverso rispetto alla norma, non va eliminato l'omino meno simpatico o quello che piace meno, ma piuttosto quello che ha meno bisogno di restare nel laboratorio e salvare coloro che devono invece essere sottoposti alle opportune cure. 

Tutto lo show è quindi impostato come un grande videogioco televisivo, dove non esistono concorrenti ma omini senza nome, dove se un omino viene eliminato o si assenta può essere sostituito da un omino picchio che condurrà il gioco per lui, dove gli omini guadagnano punti vita in ogni sfida e più il punteggio è alto più gli omini potranno meritarsi premi e accessori per le loro cabine nel laboratorio. Il pubblico/giocatore decide quali omini utilizzare nelle prove, decide quali oggetti fornire e quali personaggi eliminare. Questo è quindi lo spirito del programma, è qualcosa di nuovo e innovativo, uno show con un intento del genere ancora non si era visto in tv, le premesse ci sono tutte per rendere questo reality un videogame umano a tutti gli effetti. Ma l'originalità del progetto viene sminuita da un'impostazione televisiva classica, basata su una conduzione triste, mal assortita e asettica come il candore del laboratorio. La prima puntata è stata a dir poco soporifera, lo show sembrava una cattiva copia del compianto "Giochi senza frontiere", la coppia di conduttori era spaesata, la Brescia brava a mostrare le sue doti mnemoniche con la recitazione della scaletta e sempre pronta a ricordare che il programma "è il reality più estremo della tv", il Mago Forest appare evidentemente fuori luogo in un programma che non è il suo e nel quale semina a oltranza battutacce e battutine di cattivo gusto a sfondo erotico/sessuale. Per finire, una regia a dir poco pessima, disarticolata, penosa e vergognosa, ridicola nelle sue inquadrature nonsense nelle quali fanno capolino tecnici di ogni sorta, assistenti di studio e microfonisti che compaiono con i loro faccioni sfocati d'innanzi alle telecamere, microfoni aperti di personaggi fuori onda, RVM e collegamenti che non partono, stacchi pubblicitari ogni 10 minuti e altrettanti televoti che disorientano il pubblico e lo affaticano. Il risultato è quello di uno show già visto e rivisto che ricicla spettacoli e generi ma che al contempo nasconde uno spirito ed un'inventiva non sfruttati a dovere. Una delle poche note positive è la grafica del programma, fresca e colorata, e il motivo musicale della sigla, Human dei Killers, che fa sempre la sua bella figura.

lunedì 21 febbraio 2011

Tempo d'America


La concezione dello spazio è anche strettamente legata al tempo anche se, ovviamente, non è sempre stato così. Infatti, ogni qualvolta dobbiamo compiere uno spostamento tendiamo istintivamente, insieme allo spazio, a calcolarne la distanza e quanto tempo ci impieghiamo a compierla. Nell'antichità il concetto di tempo non esisteva, l'umanità intera ne ha sempre fatto a meno. Basti pensare che Marco Polo per compiere il suo viaggio da Venezia alla Cina ci impiegò 17 anni, non perché viaggiò senza mappe o perché perdeva l'orientamento, ma semplicemente perché non aveva nessuna fretta. Esisteva certamente un sistema di misurazione temporale e si basava sulle giornate, o sui mesi: per esempio l'attraversata di una foresta poteva durare “sei giornate”. Ci fu però un personaggio che, in barba ad ogni sistema d'esplorazione sino ad allora utilizzato, decise di fare a modo proprio. Cristoforo Colombo fu il primo uomo a codificare gli spostamenti in base al fattore temporale, ovvero a quanto ci si impiega, come diremmo oggi, per andare da un posto all'altro.

Fino ad allora gli esploratori non viaggiavo con le mappe, o almeno non era uso frequente disporsi di una mappa per compiere un viaggio. Tutti sapevano che qualcosa doveva necessariamente esserci oltre il mare Oceano, come veniva identificato l'Oceano Atlantico, e la prassi per la sua traversata prevedeva uno schema, un'abitudine strettamente legata alla conoscenza delle mappe: si partiva ovviamente dalla Spagna, si oltrepassavano le Colonne d'Ercole, si costeggiavano le rive dell'Africa sino a dove era conosciuta e poi, munendosi di coraggio, si virava a sinistra, in balia del mare aperto e senza che nessuna mappa potesse aiutare nella navigazione. Colombo invece che cosa fa? Prima di tutto si munisce di una carta geografica, se la arrotola e se la mette in tasca, senza nemmeno guardarla. Dopodiché, oltrepassate le Colonne d'Ercole, procede diritto, e basta. Colombo non si adegua quindi alla mappa, cioè non considera la rappresentazione cartografica come l'unica verità sulla quale basarsi, ma, al contrario, trasforma la Terra, la natura, ad una grande tavola, ad una distesa. E all'interno di questa distesa piatta Colombo percorre il suo viaggio sino ad approdare, finalmente, sulle coste americane. In definitiva, Colombo voleva fare presto, a differenza di Marco Polo Colombo aveva molta fretta, tant'è che è stato il primo che, senza consultare una mappa, ha raggiunto l'America dopo innumerevoli tentativi compiuti invece dai suoi colleghi esploratori, condizionati dall'immensità dell'oceano che li circondava e che li costringeva a ritornare indietro rinunciando così all'esplorazione vera e propria. Colombo ha tradotto la distanza fra due punti, ovvero lo spazio, in tempo di percorrenza. Tanto vale sfatare il mito dell'uovo che Colombo avrebbe utilizzato per rappresentare la sfericità terrestre schiacciandolo alla base su di un tavolo: tutti sapevano che la Terra fosse rotonda da molto tempo e, anzi, Colombo non ha affatto pensato alla Terra come una sfera ma, al contrario, l'ha ridotta ad una tavola.

giovedì 17 febbraio 2011

Lo spazio di Ulisse


Ho pensato a lungo a come iniziare questo blog, a quale argomento scegliere per dare vita a questo spazio virtuale, visti i temi cui sono legato e vista la vastità di ragionamenti cui essi afferiscono e proprio la parola spazio mi ha dato l'ispirazione adatta per cominciare. Voglio quindi iniziare raccontandovi una storia che deriva da un'opera letteraria a noi tutti ben nota, ovvero l'Odissea, nella quale, ad insaputa del suo (ipotetico) autore Omero, vengono presentati per la prima volta alcuni temi e argomenti che oggi ci appaiono come ovvietà, consuetudini, ma che proprio nell'Odissea hanno trovato la luce.

Noi tutti quando ci spostiamo da un luogo ad un altro, anche solo per fare pochi passi, siamo istintivamente portati a compiere un apparente semplice ragionamento, comune a qualsiasi tipo di spostamento: lo spazio. Ma l'idea dello spazio, di cosa esso sia, non è sempre stato un concetto ricorrente, tant'è che si attribuisce la sua invenzione proprio ad Ulisse quando, dopo il celebre incontro con Polifemo, tenta di scappare dall'isola del gigante con i suoi compagni.

Tutti sappiamo come sono andate le cose fra Polifemo ed Ulisse, il primo rappresentante l'utilizzo della forza bruta per imporre il potere su quelli più deboli di lui e quindi inferiori, il secondo è l'eroe per eccellenza capace di scampare alle situazioni più critiche grazie all'uso dell'intelletto. E questo episodio è proprio basato su una serie di astuti stratagemmi e dimostra proprio sul finale della vicenda in che modo Ulisse inventa lo spazio. Per essere breve, dopo avere accecato Polifemo tramite un ramo di ulivo dalla punta incandescente ed avere raggiunto l'esterno della caverna del gigante, Ulisse e la sua ciurma si dirigono celermente verso riva dove avevano precedentemente lasciato la loro imbarcazione ed, altrettanto velocemente, iniziano a remare per lasciarsi alle spalle l'isola. Ma Polifemo, nonostante impossibilitato alla vista, è dotato dell'udito e quindi riesce perfettamente ad orientarsi dirigendosi proprio verso la nave che si sta allontanando. Debbo a questo punto fare una precisazione: la storia di Polifemo rappresenta l'unico esempio in tutta l'opera dell'Odissea dove Ulisse e i compagni finiscono nei guai proprio a causa dello stesso Ulisse che a sua volta dovrà salvare se stesso e i compagni dalle grinfie di Polifemo.

Il gigante Polifemo accecato da Ulisse
A questo punto, proprio mentre la nave si allontana, Ulisse sente la necessità di dover riaffermare la propria autorità sui compagni sicché proprio da lui è partita la volontà di visitare l'isola del gigante. Quindi Ulisse alzandosi in piedi si rivolge a Polifemo urlandogli la sua posizione, sprezzante del pericolo e dell'eventuale reazione del mostro. Ma in che modo Ulisse grida a Polifemo? Nel testo appare chiara la posizione dell'imbarcazione e di Ulisse il quale grida “quando tanto fummo lontani quanto si arriva col grido”. Ovvero Ulisse ha supposto, ha immaginato di trovarsi in una posizione adeguata dalla quale la sue voce, le sue parole potessero essere udite sino a riva, dov'era Polifemo il quale, udendo chiaramente le parole di scherno, scaglia un masso nella direzione della nave facendolo cadere proprio a prua e scatenando così un'onda talmente potente da far ritornare la nave al punto di partenza, all'inizio della storia. Ora è necessaria un'altra precisazione, più acuta e interessante della precedente: per quanto Ulisse potesse evidentemente essersi sbagliato nel definire la distanza giusta dalla quale gridare è più che ovvio, per non dire palese, il fatto che Polifemo per scagliare il masso e farlo precipitare proprio davanti alla nave doveva vederci molto più che bene, benissimo. Ciò significa che quello che ci hanno sempre insegnato in merito a Polifemo non è assolutamente vero riguardo il suo unico occhio sicché nel testo non viene mai sottolineata la particolarità oculare del ciclope, in pratica non viene mai detto che possiede un occhio solo. La parola ciclope significa “occhio circolare” e basta, senza farne un problema di quantità. Polifemo poteva benissimo avere due, tre, anche quattro occhi, non ha importanza. Il vero punto della questione è la circolarità dell'occhio.

Quindi Polifemo ci vedeva molto bene quando scaglia il masso in direzione della nave ma Ulisse e compagni, una volta raggiunta la riva, si danno decisamente da fare per ripartire e ritornare al largo, lontani dal gigante. A questo punto Ulisse, testardo, decide di riprovare l'impresa e questa volta compie un ragionamento molto interessante: siccome l'unico senso utile, la vista, l'occhio, rimane fondamentale, insieme alla mente, per capire in che posizione ci si trova, Ulisse grida a Polifemo “quando due volte di mare avevamo percorso”. Che significa questo ragionamento? Significa che Ulisse, attraverso un semplice processo mentale, non ha fatto altro che raddoppiare la distanza dal precedente punto dal quale aveva gridato. Infatti Polifemo, scagliando nuovamente un masso, lo fa cadere a poppa facendo procedere la nave sempre più lontano da lui. Lo spazio non è niente altro che il raddoppio della distanza da un ipotetico punto ad un altro mantenendo un intervallo fra un punto e l'altro sempre uguale, costante. Quando da piccoli alle elementari ci insegnavano a fare i conti sulla tavola pitagorica noi credevamo che si trattasse di aritmetica ma in realtà era lo spazio: dall'1 si passa al 2, poi al 3 e così via. L'intervallo, la distanza che intercorre dal punto 1 al punto 2 è la stessa, identica, proprio come quella che ha permesso ad Ulisse di raggiungere la libertà. Ed è lo stesso procedimento che ha portato i primi cartografi alla riduzione della Terra ad un insieme di punti e linee. Ma di questo avremo modo di parlare in un secondo momento.

mercoledì 16 febbraio 2011

Incipit

Come la postmodernità, il sottoscritto è un personaggio caduco, effimero, spesso viene colto da improvvisi attacchi maniacali nei riguardi di un determinato argomento che lo portano sino all'orlo dell'ossessione e l'istante dopo mette tutto da parte per rivolgere l'attenzione a tutt'altro contesto. Questo forse è il mio decimo blog nel giro di qualche anno, ma non voglio che anche questo faccia la fine di tutti quelli passati, ovvero inevitabilmente, indissolubilmente, categoricamente, irreversibilmente eliminati. Ho fondato questo blog con l'intenzione di farlo perdurare nel tempo, lo voglio allevare come se fosse un figlio, farlo crescere, maturare, arricchirlo, adornarlo come fosse un albero di Natale, voglio renderlo originale, unico, sfavillante, inusitato, ricco... Ma forse sto correndo troppo, meglio se mi impegno "soltanto" a rendere questo blog decente, almeno un po' interessante per i lettori. In definitiva voglio che questo blog sia il più possibile personale.

Fatta questa premessa, c'è da chiedersi di cosa mai parlerà questo blog, ideato e pensato con così tanti bei propositi. Posso dichiarare che non ci sarà un argomento di fondo che accomunerà tutti i post, la sola cosa comune sarà la totale schiettezza e non banalità di ciò che andrò scrivendo. Non pretendo nè di essere considerato un intellettuale e nè di essere preso troppo sul serio, quindi sarebbe il caso di prendere alcuni post con le pinze ed affrontarli con il beneficio del dubbio sicché si tratta di puri pensieri dell'autore. Se non gradite ciò che scrivo potete tranquillamente evitare di soffermarvi troppo su questo blog, se invece trovate interessanti i post potreste quasi imparare qualcosa di nuovo, chissà...

Gli argomenti che più aggradano l'autore sono relativi all'arte e alla comunicazione. Siccome questi due temi presi singolarmente afferiscono ad un'infinità di argomenti, trovo giusto e doveroso precisare che con arte mi riferisco principalmente al concetto stesso di artisticità, ovvero di ciò che può essere considerata arte. In particolare, trovo estremamente interessante il cinema come forma artistica ed avrò modo di affrontare numerosi temi al riguardo. Per quanto invece concerne la comunicazione, farò riferimento alla comunicazione umana e alla sua evoluzione, ovvero come essa si sia sviluppata nel corso della storia dell'uomo; farò inoltre riferimento alla televisione come importante mezzo di comunicazione, insieme a tanti altri temi ad essa correlati come la pubblicità, la tv spazzatura e gli onnipresenti reality show. Non mancheranno riflessioni su Internet, sulla moda e su tanti altri temi che eventualmente scaturiranno da tutti questi argomenti.

Questo sarà quindi l'andazzo generale di questo blog, la matrice di fondo che farà da traino sarà proprio la riflessività, la quale può dare adito a qualsivoglia ragionamento, sia esso fondato, quindi vero e verificabile, sia esso infondato, quindi solo una mera opinione, ma non per questo meno credibile di un fatto. Nella mia testa giassò cosa è vero e cosa non lo è (infatti l'autore sono io mica per niente...) e a decidere a cosa credere sarai tu lettore che, se sarai dotato di sufficienti neuroni funzionanti, sarai autonomamente capace di farti una tua idea personale di ciò che studi, di ciò che ascolti o, in questo caso, di ciò che leggi.