Parliamo ora di una
pubblicità che in un certo senso mi ha colpito purtroppo in
negativo, non tanto per il prodotto in se, quanto invece per la
rappresentazione e il concept stesso della campagna, a mio avviso
abbastanza banale e carente sotto diversi aspetti.
Lo spot è quello del
nuovo profumo di casa Versace, “Eros”, il cui nome si rifà
chiaramente al dio greco dell'amore. Nello spot vediamo il modello
Brian Shimansky, ricoperto solo da una lunga tunica rossa slacciata,
avanzare fra le rovine di un tempio greco e dirigersi verso una
scalinata. Giunto in cima, il dio Eros si staglia su di un
piedistallo di pietra, impugna un arco e lo punta in direzione della
volta celeste tempestosa. Subito dopo scaglia con forza una freccia
facendo breccia fra le nubi in tempesta e permettendo così ai raggi
del sole di emergere ed illuminare proprio la divinità. Al termine
dello spot compare a tutto campo il packshot del profumo che viene
subito dopo infranto da una freccia e la successiva comparsa del logo
di Versace con il nome del profumo “Eros”.
Come ho detto, questo
spot risulta essere carente, in particolare d'inventiva e in secondo
luogo anche nel modo di presentare il prodotto allo spettatore, che
in linea teorica dovrebbe essere invogliato al suo acquisto.
Ma per capire bene dove
si annidano queste carenze e i conseguenti sbagli analizziamo lo spot
in dettaglio, partendo innanzitutto dal protagonista, il dio greco
Eros. Come si sa, questa divinità incarna l'amore poiché questo ci
viene tramandato dalla tradizione ellenistica, così come il mito
l'ha sempre voluto raffigurare come una figura solitamente piccola e
paffuta o comunque, in alternativa, alta e slanciata, i cui segni
distintivi sono proprio le sue famose ali d'angelo sulla schiena e
l'arco perennemente impugnato, pronto a scoccare qualche freccia.
Giusto per fare qualche
esempio, possiamo individuare queste rappresentazioni di Eros nella
celebre statua “Amore e Psiche” di Antonio Canova, oppure lo
ritroviamo nel quadro di Jacques Luois David “Cupido e Psiche”,
oppure sempre in un quadro dal nome “Amore e Psiche” di Anthony
van Dick, o ancora del dipinto “Educazione di Amore” del
Correggio, oppure lo si può scorgere nella “Primavera” di Sandro
Botticelli o, di nuovo, del quadro “Amore che fabbrica l'arco”
del Parmigianino o, infine, lo vediamo ritratto in un celebre quadro
di Caravaggio, “Amor Vincit Omnia”.
Ebbene, mentre in tutte
queste raffigurazioni siamo sempre difronte all'immagine di una
divinità giovane, in alcuni casi addirittura nelle sembianze di un
bambino, nello spot invece ci imbattiamo in una figura scultorea,
possente, perlopiù priva di alcuni elementi distintivi della
divinità, ovvero le ali d'angelo, che incarnano probabilmente la
caratteristica più celebre di Eros, con la conseguenza di rendere il
riconoscimento del personaggio sostanzialmente difficile da parte
dello spettatore. Si potrebbe obiettare a ciò facendo notare che il
modello, dopo essere salito sul piedistallo in pietra, impugna
saldamente il celebre arco che lo ha sempre accompagnato in ogni sua
raffigurazione (come la storia dell'arte ci ha abituato). Però,
pensandoci bene, chi ci dice che quello è proprio l'arco di Eros? È
forse sufficiente avere un fisico scultoreo ed impugnare un arco per
essere scambiati per la divinità dell'amore? Direi proprio di no, ed
infatti il riconoscimento del dio avviene solamente al termine dello
spot quando, messo da parte il protagonista, compare a tutto schermo
il nome del profumo e, a pensarci bene, sino ad allora lo spettatore
neppure aveva capito che si stava pubblicizzando proprio un profumo
dato che nessun elemento nello spot aveva anche solo tentato di
suggerire di quale prodotto si stesse parlando.
Inoltre, se analizziamo
più in dettaglio la corporatura stessa ed i vestiti del modello, ci
accorgiamo meglio che siamo ben distanti dalla classica
rappresentazione della divinità: infatti, come detto, per questa
pubblicità si è proprio scelto un modello dal fisico scultoreo e
glabro, che nulla ha da spartire con i paffuti amorini della pittura
e neppure con le sculture di Canova, avvicinandosi di più, al
contrario, allo stereotipo del macho palestrato molto più similare
ai canoni moderni della mascolinità piuttosto che ai canoni estetici
dell'età ellenistica.
Allo stesso modo, in
merito all'abbigliamento, siamo d'innanzi a vestiari moderni e lo
testimoniano la succitata tunica rossa che il modello porta
completamente slacciata, così come trasudano un'aria vagamente
kitsch i boxer tigrati sormontati da una bardatura recante la tipica
decorazione detta appunto “Greca” ,
così come anche gli stivaletti in pelle dipinti d'oro risultano
piuttosto stucchevoli, inquadrando quindi il vestiario come un
elemento puramente e volutamente moderno.
Passando
all'ambientazione, ci ritroviamo calati in un contesto non ben
definito dove si possono scorgere le macerie di un tempio greco
andato distrutto e una fila di piedistalli in pietra sui quali si
ergono delle statue, la maggior parte delle quali non perfettamente
riconoscibili anche se è possibile scorgere fra di esse, durante i
primi istanti dello spot, la celebre statua del discobolo e sullo
sfondo quella del Laocoonte. Il resto dell'ambientazione è formato
appunto da una breve scalinata e da un piccolo piedistallo sul quale
il dio Eros vi salirà per scoccare la freccia dal suo arco. Fa da
cornice a tutto ciò un clima tempestoso dove il vento fa svolazzare
la tunica e la forte pioggia bagna il fisico scolpito del modello.
Tutto questo trasmette allo spettatore l'immagine di una situazione
impervia e difficile, di certo non consona all'importanza e alla
grandiosità di un dio, genericamente associato ad immagini positive
e paradisiache e questo fattore, insieme a quelli sin qui menzionati,
crea disorientamento poiché ciò che lo spot ci ha mostrato fin qui
è ben lontano dall'immaginario collettivo sulla tematica della
divinità di Eros e sull'ambientazione adeguata ad un dio.
Per
concludere sul ragionamento relativo al riconoscimento
dell'ambientazione greca classica, gli elementi che consentono questo
riconoscimento ci sono però non vengono posti opportunamente in
evidenza, in modo da avvantaggiare lo spettatore nel suo intento di
calare quella situazione in un contesto ben definito. È vero che ci
sono celebri statue greche, così come è vero che sui boxer e sulla
tunica del protagonista si possono individuare le decorazioni a
“Greca” tipiche
dell'età ellenistica, però è altrettanto vero che questi elementi
fanno delle fugaci apparizioni e non si mostrano di facile
individuazione. In definitiva, gli elementi per l'identificazione del
contesto storico di riferimento ci sono, ma non viene posta loro
particolare attenzione dalle inquadrature che invece si concentrano
molto di più sulle gesta del dio.
Venendo
proprio ai gesti e alle azioni del protagonista, possiamo constatare
che, nonostante la presenza di ruderi e di detriti invitano a pensare
ad una battaglia violenta appena conclusa, il modello avanza fra di
essi con sfrontata sicurezza ed allo stesso modo si dirige impettito
verso il piedistallo senza badare alle impervie condizioni
climatiche, come se la forte pioggia non lo disturbasse affatto. Una
volta salita la scalinata il modello si ritrova nel fotogramma
successivo già in piedi sul manufatto di pietra, senza che ci venga
fatto vedere come ci sia arrivato anche se esso risulta piuttosto
basso rispetto al suolo. Questa volontà di non mostrare l'eventuale
fatica che il dio ha dovuto compiere nel salire sul piedistallo,
forse per non puntare l'attenzione su uno sforzo fisico così
limitato, si ritrova ad essere controbilanciata dal gesto molto più
pregnante e possente dell'impugnatura dell'arco, la relativa tensione
della corda e il conseguente lancio della freccia, gesto quest'ultimo
che genera nelle nubi grige in preda alla tempesta uno squarcio nel
cielo dal quale fuoriescono i raggi del sole che andranno
inevitabilmente a colpire di luce divina proprio Eros.
Ma
questo non è il solo gesto che il modello compie sul piedistallo di
pietra poiché, oltre a maneggiare l'arco, egli si libera
definitivamente della lunga tunica che portava slacciata addosso e
proprio questa maniera di indossarla suggerisce sia l'irrilevanza
dell'indumento e sia la latente volontà di doversene liberare in
seguito. Il risultato di quest'azione è quella di mettere in risalto
ancora una volta la massiccia fisicità del dio, come se in verità
ve ne fosse un reale bisogno, e tale gesto corrobora ancora di più
l'idea di una figura molto più vicina a quella di un fotomodello
piacione piuttosto che alla sfera del trascendente. Si può infine
notare che proprio la sfrontatezza avanzata dal modello nei confronti
della pioggia che lo bagna completamente insinua sempre di più nello
spettatore il sospetto che la condizione di restare semisvestito
sotto un temporale gli provochi più un piacere personale piuttosto
che un di disagio o un fastidio. Possiamo infatti trovare conferma di
ciò sia nelle inquadrature ravvicinate che riprendono il petto del
modello imperlato di goccioline di pioggia, mostrando quindi che la
sofferenza o l'imbarazzo sono del tutto assenti, e anche nei primi
piani del viso che trasuda un'espressione di compiacimento e di
godimento per quella situazione, evocando nello spettatore una
medesima sensazione di benessere e di piacere nell'osservare quel
florido e prospero corpo giovanile dalla muscolatura perfetta essere
letteralmente colpito da quella pioggia scrosciante che altro non fa
che accentuare le forme e i volumi della sua fisicità.
Tutto
ciò, come è facile comprendere, rasenta l'erotismo puro e anche
piuttosto ingenuo e superfluo perché, non dimentichiamocelo, ciò
che si sta pubblicizzando è un profumo, anche se fino ad ora del
prodotto non se n'è scorta neppure l'ombra.
Questa
abnorme strategia di marketing che fa leva sulla mascolinità, sulla
prestanza fisica, sulla bellezza maschile, sull'abbigliamento
superfluo e minimale, rappresenta un modo piuttosto vetusto e stantio
di vendere un prodotto e che si rivela in realtà sbagliato nella
sostanza, nel concept stesso, poiché si pone al centro
dell'attenzione del possibile acquirente non le caratteristiche o le
qualità del prodotto ma, al contrario, la bella presenza di un
ragazzotto qualsiasi. Siamo nel campo della cosiddetta pubblicità
mitica
individuata da Floch dove la focalizzazione dell'attenzione si pone
al livello della narrazione di una storia che ruota attorno ad un
prodotto piuttosto che sul prodotto stesso. Infatti, proprio come
avviene anche in questo caso, la presentazione nonché lo svelamento
del prodotto avviene alla fine dello spot, relegata agli ultimi
secondi, mentre ciò che più rimane impresso nella mente è la
figura della divinità e della sua prestanza fisica che, anche se
totalmente slegata rispetto al prodotto, appare molto più incisiva
ed efficacie della boccetta di profumo la quale verrà infatti
infranta da una freccia, forse la stessa scagliata in precedenza da
Eros.
Tirando le somme, ci ritroviamo davanti ad un discorso che utilizza
il riferimento alla divinità greca non tanto per suggerire le forti
e prestanti qualità del profumo ma, al contrario, per fare leva
sulle presunte doti erotiche che una figura maschile dal fisico
statuario può suscitare nell'immaginario collettivo e quindi ben si
comprende come il nome “Eros” dato al profumo più che alla
corrispondente divinità suggerisce un parallelismo con l'erotismo.
Per cui, chi acquista il profumo “Eros” avrà la capacità di
divenire incredibilmente erotico e possente, esattamente come il
modello dello spot.
Analizzando l'annuncio stampa del medesimo profumo possiamo
riscontrare nuovamente alcune incongruenze. Poniamo attenzione al
livello topologico: notiamo che l'annuncio è privo di
cornici ed occupa l'intero spazio della rappresentazione, così come
la suddivisione dell'immagine è minimale poiché al di fuori del
modello non vi sono altri elementi collocati né sullo sfondo e
neppure in primo piano. L'unico altro elemento che costituisce una
razionalizzazione spaziale è rappresentato dalla superficie sulla
quale poggia il modello, la quale è ascendente verso il lato destro
dell'immagine. Il modello sorregge la boccetta di profumo con
atteggiamento plastico poiché ha le gambe piegate in segno di fatica
e sforzo fisico poiché il flacone di profumo si presenta di
proporzioni innaturali rispetto alla realtà ed essendo così grande
è capace di concentrare l'attenzione dello spettatore su di esso
facendo così passare in secondo piano il modello stesso che oltre ad
un vago accenno di fatica nel sorreggere il profumo gigante non
trasmette con l'espressione del viso la medesima sensazione di
affaticamento, altro segno quest'ultimo di grandiosità e potenza
divina. Grazie quindi a queste proporzioni iperboliche del packshot,
possiamo individuare nel profumo l'elemento posto in primo piano e
nel modello l'elemento posto in secondo piano, pur tenendo presente
che queste sono le uniche figure collocate nell'immagine. Inoltre,
sulla destra compare il logo dell'azienda, “Versace”, al di sotto
del quale è collocato il nome del profumo, “Eros” con caratteri
più piccoli. Conclude il tutto la baseline che recita “The new
fragrance for men”.
Venendo al livello eidetico si riscontrano linee dai
contorni marcati e netti, individuabili prima di tutto nella boccetta
gigante di profumo che si presenta ben squadrata e nitida ed allo
stesso modo appare chiara la superficie sulla quale poggia il
modello, anche se il suo riconoscimento non risulta altrettanto
semplice. Le linee del modello sono invece più morbide anche se
ugualmente nette e l'effetto di morbidezza e leggerezza è suggerito
anche dalla tunica svolazzante, anch'essa protesa verso destra.
Possiamo inoltre riscontrare una rima eidetica sia nello svolazzo
della tunica con l'andamento ascendente della superficie e sia nella
posizione delle gambe del modello che appaiono quasi perfettamente
parallele, esattamente come i bordi del flacone di profumo risultano
del tutto paralleli, trattandosi di una forma quadrata.
Passando al livello cromatico ci imbattiamo in una
prevalenza quasi totalizzante e onnicomprensiva delle tonalità del
blu e dell'azzurro, che marcano sostanzialmente ogni singolo elemento
del visual. Questo blu diffuso deriva senz'altro dalla colorazione
cerulea del flacone di profumo che evidentemente si è espansa a
tutta l'immagine omogeneizzando sia il modello stesso e sia lo sfondo
che si presenta sfumato ed inizia con una colorazione azzurro chiaro
sulla sinistra procedendo sino ad un blu pieno sulla destra. La
medesima variazione cromatica la si ritrova nella superficie obliqua,
anche se essa risulta molto più scura sulla destra rispetto a
qualsiasi altro elemento dell'immagine. Il corpo del modello è
invece di un marroncino misto al blu, anch'esso quindi contaminato
dalla colorazione predominante del visual anche se il marroncino ci
invita a pensare che la divinità conserva ancora qualche tratto di
umanità che consente di collocarlo nel regno dell'umano piuttosto
che in quello del divino, come detto in precedenza.
In ogni caso, questa colorazione totalizzante inserisce lo spettatore
in un'atmosfera irreale, da sogno, dove una divinità è molto più
umana di quanto si creda, dove i colori sono alterati rispetto alla
realtà e dove le proporzioni non sono rispettate. Rappresentano
un'eccezione cromatica la tunica del dio, di un rosso sgargiante, e
il logo Versace di colore giallo.
In questo blu diffuso e ripetitivo possiamo individuare un
semi-simbolismo, in particolare proprio con la sfera della volta
celeste e quindi dell'onirico, del soprannaturale e dello spirituale
poiché nell'enciclopedia diffusa si attribuiscono questi aspetti
proprio al colore blu-azzurro del cielo, luogo dove si ritiene sin da
tempi antichi che risiedano le divinità, collocate perciò ad un
livello superiore rispetto invece all'inferiorità della vita
terrestre. È forse tramite questa lettura che si può dare una
risposta a questo visual che altrimenti rischia di apparire
eccessivamente banale e scontato giacché l'utilizzo del corpo
seminudo per pubblicizzare un prodotto è una pratica vecchia tanto
quanto lo è il marketing, così come, parimenti, se non fosse per
questa lettura vi sarebbe un nuovo disorientamento nello spettatore
poiché in questo visual dal titolo “Eros” della divinità non
v'è traccia: infatti, il modello non suggerisce alcun tipo di
similitudine con il dio dell'amore che vorrebbe impersonare poiché
sono assenti le sue caratteristiche tipiche citate poc'anzi, ovvero
le ali d'angelo e l'arco. Allo stesso modo non troviamo alcuna
traccia dell'amore, che sarebbe proprio il sentimento rappresentativo
del dio, con una preferenza invece alla tematica dell'erotismo
ampiamente riscontrata sia nella seminudità del modello e sia nei
suoi gesti statuari e in un certo senso vanitosi. Un allontanamento
dal tema dell'amore è altresì individuabile nel colore blu che non
identifica questo sentimento nell'enciclopedia collettiva come invece
lo può rappresentare il colore rosa o il colore rosso.
In definitiva, ci ritroviamo d'innanzi ad un visual scarno e povero
d'inventiva sia sotto il profilo dei contenuti stessi, in virtù dei
mancati collegamenti ed associazioni enunciate poco sopra, e sia dal
punto di vista dell'estetica complessiva che ancora una volta gioca
con la nudità per promuovere un prodotto che con l'erotismo e il
piacere carnale non ha assolutamente nulla da spartire.
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